Welcome mon amis...

This is un luogo beaucoup agreable, where we possiamo insieme nous-rendez-vous per mille cose different...welcome qui

lunedì 24 marzo 2014

Angy e il sasso - bozza

Angy e il sasso - bozza

                                                              Fino a tre mesi fa

Mi chiamo Angy, Anna Giuseppina in omaggio ad entrambe le nonne, ho 38 anni, statura media, corporatura rotonda, capelli lunghini ma con taglio alla moda, carattere mite, mani bellissime che curo molto.
Amo molto i colori ma non ho mai avuto il coraggio di cominciare un corso di pittura perché mi potrei vergognare troppo a mostrare davanti a tutti i miei scarabocchi.
Forse ora potrei.
Praticamente sono trasparente al mondo. Ero.
Sono una trentottenne laureata in lettere moderne, già fidanzata tre volte, Filippo, Giovanni e Leopoldo. Attualmente sono single e vivevo con mia madre fino a tre mesi fa.
Abitiamo nel centro di Milano in una casa di ringhiera molto bella e spaziosa. Mio padre comprò le prime tre stanze centrali quando si sposarono e poi fu abile nell'acquistare gli appartamentini adiacenti man mano che venivano messi in vendita, fino ad arrivare ad avere questo bell'appartamento di centoventi metri quadri che per due è davvero molto. Tra l'altro, col passare degli anni le case di ringhiera sono diventate molto di moda tra i milanesi ricchi e quindi le vecchie arrugginite ringhiere sono terrazzi tutti fioriti, nel cortile c'è un giardino magnifico, ci sono due ascensori e nel piccolo capannone dove lavorava il biciclettaio ora vive un locale molto moderno, vegano, con tisaneria e d'estate suonano anche musica country americana dal vivo. Basta stare sulla sdraio del terrazzo con il gatto in grembo per ascoltarla e sognare di riuscire a suonarla .
Lavoravo in un ufficio di avvocato la mattina e come babysitter al pomeriggio. La domenica aiutavo gli anziani come volontaria organizzando tombole e giochi. Il sabato libero per dormire di più, fare shopping ed la sera uscire con le amiche.
Mediamente cattolica, benpensante per pigrizia, amavo tutto ciò che non mi faceva fare fatica. Abitudinaria e sedentaria.
Il babbo è morto da tre anni e la figura maschile è rappresentata da mio fratello Edoardo, 35 anni, ingegnere, sposato con una ragazza moldava che lavora in banca e con una bimba meravigliosa, Giada, di due anni.

Di molto altro non c'è da raccontare, ho due amiche del cuore con cui uscivo a cena e andavo al cinema, Rosy e Susy, e un gatto Gatto, raccattato nell'androne da cucciolo in una sera di temporale. Si chiama Gatto perché mia madre non lo voleva e quindi c'impose di non dargli il nome. Ovviamente il gatto è rimasto ma ormai risponde solo a Gatto anche se a me sarebbe tanto piaciuto Fuffy.
Dormiva sul mio letto e russava, ora penso dorma sul letto di mia madre.
Mi metterò in cerca di un gatto, ora che vivo sola, e lo chiamerò Fuffy. Magari anche due.
Mia madre, Tina, maestra elementare in pensione, è una persona media come me, unico vezzo i capelli rossiccio-menopausa e una collana vistosa di lapislazzuli che le regalò mio padre in un impeto di strano ritorno di fiamma verso i 45 anni. Ho sempre pensato fosse il contraccolpo di una scappatella ma non lo dissi mai, nè posso averne certezza.
È una brava donna un po' noiosa che ripete all'infinito il suo essere stata maestra in ogni gesto. Forse una nasce maestra e poi esercita come inevitabile conseguenza.
Ah, dimenticavo, negli ultimi 3 anni siamo diventate vegetariane e questo ci fa sentire molto orgogliose di appartenere ad una minoranza intellettuale oltre a riempirci il tempo cercando e provando sempre ricette nuove. Mio fratello dice che siamo fissate e pretende che diamo la carne a Giada quando ce la lascia, inutili sono stati tutti i nostri tentativi di convertirlo. Peccato.
Insomma ero una zitella in piena regola, con tanto di calze per andare a dormire.

Lo studio in cui lavoravo è composto da quattro avvocati, due anziani e i loro figli. Civilisti, si occupano quasi esclusivamente di casi finanziari. Il mio lavoro era di pura segreteria e solo quattro ore la mattina. Era piacevole, confortevole, ripetitivo e rassicurante. Inoltre avevo un ottimo rapporto con tutti perché ero li fin dai miei vent'anni e mi sentivo quasi una figlia anche io. Avevo il mio ufficio e potevo anche tenere il bollitore e le tisane. 
È proprio nell'ufficio che ho incontrato Leo, il mio ultimo fidanzato. Avvocato anche lui è stato subito un incontro chimico il nostro.
Perché non c'è da pensare che io abbia ritrosia con il sesso, anzi, credo proprio di esserci portata, molto portata.
Con Leo, dicevo, è stata subito chimica e dopo neanche una settimana da quando ci eravamo conosciuti eravamo già in un motel, pieni di passione. Il motel divenne un po' la nostra casa per quattro anni. Mi passava a prendere all'una, quando uscivo dall'ufficio e finivamo sempre a letto. Ci vedevamo raramente la sera e mai i weekend perché lui giocava a calcio la domenica e stava con la mamma e gli amici il sabato.
Solo dopo quattro anni mi accorsi che il calcio, la mamma e gli amici erano in realtà una moglie e due figli. Fui obbligata a piantarlo, più per una questione di principio che per stizza, ma nel tempo quelle abbuffate di sesso mi mancarono , almeno fino a tre mesi fa.

                                            Tre mesi fa

Era un venerdì e non ero tornata a mangiare a casa perché nella pausa pranzo ero stata dal parrucchiere. C'era un nuovo taglio tutto dritto che volevo provare per farmi bella per il sabato sera, visto che saremmo uscite , io, Susy e Rosy con tre amici del fratello di Susy.
Finito il parrucchiere ero andata subito a prendere all'asilo i bimbi a cui facevo da babysitter, che furono molto entusiasti del mio nuovo taglio e anche delle sfumature chiare sulle punte.
Quindi quando arrivai a casa erano ormai le sei e trovai mia madre seduta in cucina con una lettera in mano e la faccia un po' stranita, tanto da preoccuparmi.
Non aspettai che mi raccontasse, visto la sua propensione ad esagerare nel prendere le cose alla larga, quindi le tolsi la lettera dalle mani per leggere direttamente.
Riporto quanto c'era scritto:

" Gentili Signori Anna Giuseppina e Edoardo Signoretti,
chi vi scrive è l'avvocato testamentario della fu Signora Rosa Signoretti.
In quanto unici eredi della Suddetta, siete invitati a mettervi in contatto con me, il più urgentemente possibile, per prendere atto delle disposizioni della Medesima.
Troverete ogni riferimento in calce a questa lettera.
Nell'attesa della Vostra venuta a Montevideo, porgo i miei ossequiosi saluti,

Avvocato Juan Pedro Cattores"

Il primo istinto fu di cominciare a ridere, ridere, ridere. Chi diavolo era Rosa Signoretti? E Montevideo non è in Venezuela ? 
Mi arrivava l'immagine della carta del mondo con un Montevideo che vagava in tutto il sud America ma con un nome molto affascinante. No, di preciso non avrei saputo posizionarlo. Mi sentii ignorantissima.
Pensare a Montevideo  da un tavolo di cucina nel centro di Milano con mia madre che mi guardava con lo sguardo ebete mi sembrava fantascienza.
Ma chi era Rosa Signoretti? " Mamma chi è Rosa Signoretti?" " Non ne ho la più pallida idea".

Se non lo sapeva lei a chi potevo chiederlo, non ne avevo idea. I parenti di mio padre mi risultava fossero tutti morti e lui era figlio unico.
Chiamai mio fratello e gli lessi la lettera, pensando che anche lui ci avrebbe fatto una risata. Sbagliavo. La sua reazione fu invece che si trattasse sicuramente di una truffa da parte di qualcuno che voleva estorcerci dei soldi. Ne era così convinto che voleva andare subito al commissariato.
Non mi pareva un'ipotesi plausibile anche se, con tutta onestà, non avrei potuto escluderla.
Decidemmo di prenderci il weekend per ragionarci sopra e lunedì mattina avrei chiesto consiglio in ufficio agli avvocati. Magari potevano sapere se esistesse davvero un avvocato Juan Pedro Cattores.
Questa lettera ci aveva spezzato il tempo.
Mia madre vagava per casa, persa in un mare di pensieri che non rivelava, con il viso un po’ cupo.
Io invece ero pervasa da un’ilarità diffusa, un po’ come un nuovo amore. Canticchiavo e mi muovevo leggera.
Mio fratello faceva uscire i mille fantasmi del male, dando corpo a mille supposizioni, tutte nefaste.

A ognuno le sue reazioni rispetto al proprio carattere.

Il sabato sera sono riuscita a non parlare di questa cosa, complice anche il fatto che non eravamo solo noi tre amiche. Ripensandoci ora credo che si stesse già facendo strada in me, un desiderio di vivere quest'avventura da sola e non avevo molta voglia di condividerla neanche con loro, mie compagne di vita da sempre. Quella sera, a letto, mi crogiolavo in questa favola appena iniziata e anche solo i commenti di mia madre e di mio fratello mi disturbavano. Paradossalmente vivevo questa situazione come se la protagonista fossi io e gli altri semplici comparse. Anche mio fratello, erede esattamente come me, così diffidente, ai miei occhi, si allontanava dalla magia che io sentivo farsi realtà. Ricordo che sognai castelli e principesse in paesi esotici.

La mattina della domenica, mentre prendevo il caffè in cucina , mia madre se ne uscì dicendo che forse aveva individuato chi potesse essere Rosa Signoretti. Mi raccontò che il nonno, padre di mio padre, sposò la nonna che era già vedovo con due figli. Il figlio era morto con la mamma nell'incidente che lo aveva portato alla vedovanza, invece la figlia maggiore non aveva accettato il nuovo matrimonio ed era rimasta presso una zia. Proco dopo il matrimonio del padre era partita come missionaria laica in una missione gesuita. Mia madre non sapeva dove fosse questa missione, però era la prima notizia plausibile di questa vicenda.
Rosa Signoretti missionaria laica a Montevideo. Ci sta, ci sta molto bene. Niente figli e noi soli eredi. Ma eredi di cosa se questa faceva la missionaria ? Una capanna di paglia?
Da una parte era un indizio, dall'altra crollavano tutti i miei castelli e principesse esotiche. Ci vedevo più favelas e fango, povertà e stracci. 

Il lunedì mattina, armata di lettera dell'avvocato arrivai in ufficio sperando di poter trovare le prove dell'esistenza dello studio a Montevideo.
I primi ad arrivare in ufficio furono gli avvocati padri che si dimostrarono decisamente divertiti della faccenda e si misero subito alla ricerca di questo studio, presi dal gioco come adolescenti.
Dopo un'ora il più anziano, che ormai veniva in studio quasi solo per allenarsi a golf con il simulatore e scappare da una moglie ingombrante, arrivò trionfante. Lo studio, uno dei più noti di Montevideo, con sede in viale 18 de Julio, zona molto centrale, contava su un pull di 15 avvocati e tre decani, di cui uno era proprio il nostro caro Juan Pedro Cattores. Era uno studio civilista che si occupava di personalità, gente di spettacolo , politici.
E missionarie laiche a quanto pare.
Trovammo l'indirizzo email e l'avvocato scrisse personalmente al Cattores, chiedendo ulteriori informazioni riguardo alla lettera.
Non stavo nella pelle per poter conoscere come stessero davvero le cose ma di una cosa ero certa: ero pronta a partire anche subito. Ora c'era da convincere il parentame, e non mi sembrava una cosa così facile.
Era uno scherzetto che poteva costare minimo seicento massimo milleduecento euro, senza contare albergo e ristorante e sopratto sicurezza personale. Infatti Montevideo è una città molto importante dell'Uruguay a quanto potevo vedere su internet e senza delinquenza. Per due come mia madre e mio fratello sarebbe stata comunque dura accettare che una donna sola affrontasse tutti i pericoli che le loro menti potevano partorire. Edoardo sarebbe potuto venire, mia madre no perché ha paura di volare.
Mi aspettavano giorni combattenti, me lo sentivo. Ma non avrei mollato.

La sera a tavola, dissi a mia madre che aspettavo la risposta ma che ero comunque decisa a partire. Avevo viaggiato poco nella mia vita e sempre in Europa. Anche l'Erasmus lo avevo fatto vicino a Stoccolma e non potevo fammi sfuggire un'occasione simile.
Su internet mi ero studiata in lungo e largo l'Uruguay e mi piaceva l'idea di questa città piena di vita, storia e colori. Affascinata dal presidente Muijca, il mio idolo. Era già esotico così anche se avessi ereditato solo una spilla o un letto di paglia.

Arrivata in ufficio trovai subito la mail di Cattores che scriveva:

"Gentili Avvocati,
è un onore poter corrispondere con Voi.
Sarebbe buona cosa che gli eredi Signoretti venissero prima possibile ad un incontro presso il mio studio, qui a Montevideo, per prendere atto delle disposizioni testamentarie che li riguardano. Sempre secondo le disposizioni tutte le spese relative al viaggio sono a nostro carico e sarà nostra premura prenotare il volo quando ci comunicherete il calendario della partenza.
Sarà utile prevedere un tempo di permanenza qui in Uruguay di almeno 20 giorni per tutte le pratiche burocratiche.
Sarà utile portare tutte le carte che dimostrino l'identità e l'atto di nascita (indispensabile in Uruguay).
Nel caso non sia possibile la venuta di entrambi gli eredi, sarà indispensabile che colui che sarà assente, firmi una delega a favore dell'altro erede, limitatamente alla presa della visione testamentaria. Questa delega deve essere in due copie e mi deve essere consegnata di persona.

Resto in attesa di Vostre notizie.

Avv.J.P.Cattores"
Ero senza parole. Allora era vero davvero, accidenti. Anche il viaggio spesato, ma in che razza di situazione mi stavo trovando?
Telefonai subito a mio fratello, ma non mi rispose. Chiamai mia madre, idem. Dovevo parlare con qualcuno prima di scoppiare.
Massì dai, era venuto il momento. Chiamai Rosy che tanto non lavora e le raccontai tutto d'un fiato l'intera faccenda. 
Rosy è la più logorroica di noi tre e spesso la tacciamo a forza, ma questa volta fu lei spontaneamente a restare in silenzio, tanto che credevo fosse caduta la linea.
Dire che era rimasta scioccata non rende l'idea. In realtà non riusciva a fare altro che borbottare "incredibile, non ci posso credere, pazzesco, folle, meraviglioso".
Le dico che ho deciso di partire il lunedì prossimo sola o con mio fratello, perché non resisto a vivere con questa curiosità.

All'una finalmente mio fratello mi risponde, lo aggiorno e lo sento, questa volta, davvero stupito.
Decidiamo di vederci a cena da me così ne parliamo anche con la mamma. Non riuscivo a capire se fosse più contento o più spaventato. Ho sempre pensato che gl'ingegneri non siano ne carne ne pesce, mezzi bambini e mezzi uomini, sempre in bilico nel cadere nella parte opposta. Ora mio fratello mi sembrava un bimbo spaventato che voleva farsi vedere adulto e responsabile.

A cena l'aria era abbastanza elettrica. Io elettrizzata, mia madre atterrita, mio fratello elettrico.
Disse sin da subito che lui non poteva venire perché stava seguendo un progetto che era alle fasi finali e non gli sarebbe stato possibile assentar si per più di un paio di giorni.
Mia madre, aereo fobica da sempre continuava a ripetere che sarebbe venuta volentieri ma aveva davvero paura di sentirsi male. Entrambi mi guardavano come se l'unica loro alternativa fosse affidarsi a questa stupida ragazzina di dodici anni, io.
Ci volle ben poco per passare dalla conversazione pacata alla litigata dove io rivendicavo il mio diritto di essere adulta e loro ribadivano la loro convinzione che non lo fossi. Vecchia eterna storia. Essere sempre un po' precaria, non essermi sposata, avere l'aria perennemente sognante non mi aiutava a sostenere la mia tesi.
Alla fine liquidai la faccenda con un " tanto io parto lunedì" con relativo sbattimento della porta di camera mia.

La mattina seguente comunicai al l'avvocato Cattores il volo e aspettai la sua risposta.
Nel frattempo mi congratulai con me stessa per la lungimiranza di qualche anno prima che mi aveva fatto prendere, con i punti dell Coop, un set da viaggio completo: valigia grande, piccola, media, sacca e beautycase.
Ora era venuto il loro momento.

Poi organizzai il lavoro. Visto che Rosy era disoccupata me la portai in ufficio tre giorni e le insegnai il lavoro di segreteria in modo che potesse si sostituirmi e le feci conosce i bimbi da cui facevo la babysitter così da rimpiazzarmi anche li. Mi sentivo di colpo donna manager e decisi, per consacrare l'evento, di farmi tagliare i capelli come Miranda, Marlyn Streep, in "il diavolo veste Prada".
Ero pronta.