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venerdì 14 gennaio 2011

mito di Parsifal 12 - solo per Amore e palati forti



.....come al solito che noto il sincronismo di questi post.
In questo caso è una risposta a me, ma l'universalità del mito, interesserà sicuramente tutti voi.
Tra l'altro si è sempre creduto che questo passaggio di vita interessasse solo il mondo maschile, ma questo non è affatto vero.
Mai come ora le donne non si staccano più dalle madri: e così' niente crescita......FATE MOLTA ATTENZIONE A QUESTO

Ricordate l'abito tutto d'un pezzo che la madre aveva filato in casa per Parsifal?

E' questa reminiscenza, conservata sotto l'armatura da cavaliere, che impedisce al ragazzo di apprez­zare il Graal quando lo vede.
Fino a che l'uomo rimane av­viluppato nel complesso materno non può apprezzare il Graal o, ancora peggio, non può formulare la domanda che guarirebbe la ferita del Re Pescatore.
E' un compito dif­ficile, per un giovane, liberarsi dell'abito tessuto dalla ma­dre.
Molti non riescono mai a spogliarsi del complesso ma­terno, che è ciò che il vestito fatto in casa simbolizza.
Per analizzare questa critica questione, dobbiamo fermarci a di­scutere la relazione dell'uomo con il femminile.

Sei sono le relazioni di base che l'uomo intrattiene con il mondo femminile.
Tutte e sei gli sono utili e ciascuna è dotata di una sua nobiltà; soltanto la contaminazione del­l'una con l'altra crea difficoltà, difficoltà che sono cruciali per il passaggio dell'uomo attraverso la vita.

Vi prego di leggere molto ATTENTAMENTE ciò che segue.
Vi consiglio vivamentissimamente di fare un copia/incolla e portarvelo sempre dietro per un pò...un foglietto, sul cellulare..dove volete: fatelo.
Ciò che segue è l'arcano svelato delle diatribe dell'umanità tutta.
Da questo arcano si dipana la forza e l'armonia, da questo arcano s'innesca ogni male del mondo...


A voi, ora, la vostra scelta...fate il vostro gioco..

Questi sei ele­menti femminili nell'uomo sono:
    La madre umana.

Si tratta della donna reale (REALE!!!!) che gli è stata madre, con tutte le sue idiosincrasie, caratteristi­che individuali e con la sua unicità.

    Il complesso materno.
Questo risiede interamente den­tro l'uomo. Si tratta del suo desiderio regressivo di ri­tornare a essere bambino, allo stato di dipendenza dal­la madre. E il desiderio dell'uomo di lasciar perdere, il suo disfattismo, la fascinazione sotterranea che gli inci­denti o la morte esercitano su di lui, la sua richiesta che gli altri si occupino di lui. Tutto questo è puro veleno nella psicologia dell'uomo. (immaginate cosa può succedere ad una donna?)

    L'archetipo materno.

Se il complesso materno è puro veleno, l'archetipo materno è oro puro, è la metà fem­minile di Dio, la cornucopia dell'universo, la madre natura, la generosità che si riversa liberamente su di noi.
Non potremmo vivere neppure un minuto senza la generosità dell'archetipo materno, al quale ci possia­mo sempre affidare, che ci nutre e ci sostiene.


   La fanciulla.

Si tratta della componente femminile nel­la struttura psichica di ogni uomo ed è la compagna interiore o l'ispiratrice della sua vita. È Bianche Fleur, è la Dulcinea di Don Chisciotte, la Beatrice di Dante.
È lei che conferisce senso e colore alla vita, la parte psicologica che Jung ha chiamato 'Anima', cioè colei che anima e porta la vita.


    La moglie o la compagna.

Si tratta della donna in carne e ossa che condivide il viaggio esistenziale dell'uomo, la sua compagna umana.

   Sophia.


Si tratta della Dea della Saggezza, la metà fem­minile di Dio, la Shekinah del misticismo ebraico. E sconvolgente per l'uomo scoprire che la Saggezza è femminile, ma tutte le mitologie sottolineano questo fatto.
Tutte queste qualità femminili sono utili all'uomo, persi­no il complesso materno, che è la qualità più difficile.
Nel capolavoro goethiano, Faust deve affidarsi al complesso materno perché lo porti nel luogo delle madri per la sua redenzione finale.

E' soltanto la mescolanza o la contamina­zione di un aspetto con un altro a provocare un malessere profondo. 

Il genere umano ha una tremenda propensione per combinare questi pasticci. Esaminiamo alcune di que­ste contaminazioni e osserviamo la distruzione che ne con­segue.

Se un uomo contamina la propria madre umana con il proprio complesso materno, colpevolizzerà la sua vera ma­dre per la qualità regressiva che pervade il complesso mater­no e vedrà, quindi, la madre come una strega che tenta di sconfiggerlo.
È piuttosto comune che un giovane colpevo­lizzi la madre, o il sostituto materno, per il proprio comples­so materno regressivo.

Se l'uomo contamina l'immagine della propria madre in­teriore con l'archetipo materno, si aspetterà che la madre reale incarni per lui la dea della protezione, un ruolo che soltanto l'archetipo può sostenere.
L'uomo porrà richieste ridicolmente eccessive all'aspetto materno del mondo e si aspetterà che il mondo gli dia di che vivere, preferibilmen­te senza sforzo da parte sua.


Se l'uomo contamina la propria Anima, o fanciulla inte­riore, con la sua immagine interiore della madre, si aspette­rà che la sua donna interiore gli faccia da madre.

Una contaminazione assai comune consiste nella sovrap­posizione di madre e moglie. L'uomo che cade in questa confusione si aspetterà che la moglie gli faccia da madre invece che da compagna di vita. Chiederà alla moglie di soddisfare per lui le proprie aspettative materne.

Poiché Sophia non è forte nella vita di ogni uomo, que­sta componente non è sempre presente. Se l'uomo confon­de la madre e Sophia, doterà la propria madre di una sag­gezza divina che nessun essere umano può sostenere: «La mamma sa tutto»... e l'archetipo di Sophia forma una com­binazione sbagliata.

Lascio le altre combinazioni o contaminazioni alle vostre indagini: sono tutte negative. Non è il femminile a essere negativo, ma la contaminazione dei livelli di coscienza.

NO COMMENT


Per ritornare a Parsifal e al perché del suo fallimento al castello del Graal, possiamo concludere che fu il fatto di non togliersi di dosso il vestito filato dalla madre, il com­plesso materno, a costargli la forza e la chiarezza necessarie a formulare la domanda che Gournamond gli aveva inse­gnato.

Nessun uomo può porsi in relazione con il Graal su base permanente se il suo complesso materno si interpo­ne tra lui e la sua forza maschile originaria.

Ci vorranno vent'anni di arduo errabondaggio per il mondo perché Par­sifal possa spogliarsi dell'abito fatto in casa in modo da po­ter essere quel maschio forte in grado di reggere la bellezza del Graal, il sommo simbolo dell'archetipo materno.

Fino a quando un uomo rimane coperto dall'abito fatto dalla ma­dre, può condividere il Graal soltanto in occasionali incon­tri fortuiti e non può risanare la ferita del Re Pescatore.

Gli anni che Parsifal spende nelle sue esperienze avventurose lo spingono tutti verso l'abbandono di quell'abito fatto in casa: a metà della vita, c'è ancora una possibilità di stabili­re un contatto con il castello del Graal.
Il Graal è sempre vicino e disponibile in qualsiasi momento, ma i 16 e i 45 anni, che segnano momenti di cambia­mento, sembrano i due passaggi nella vita dell'uomo in cui esso è più facile da trovare.
(vi riconoscete?)

La processione miracolosa avanza in ogni notte della vita nel castello del Graal, ma è soltanto in momenti particolari della vita (e quindi sol­tanto quando l'uomo è pronto) che l'uomo ha facile acces­so allo splendore del castello del Graal.

In teoria, un uomo dovrebbe poter rimanere nel castello del Graal subito la prima volta.
I monaci benedettini, nel­l'Europa medioevale, esercitavano questa possibilità nella pratica monastica: prendevano i bambini alla nascita, li allevavano nel castello del Graal e non li lasciavano mai uscire, in senso psicologico.
Non erano mai soggetti alle pressioni del mondo, al corteggiamento, al matrimo­nio o a qualsiasi struttura di possesso o di potere in senso mondano.
Non ho mai conosciuto nessuno che fosse re­duce da una simile esperienza e nemmeno penso che essa sia possibile per una persona di oggi.
Può essere che una strada di questo tipo sia praticabile per una mentalità me­dioevale o per una persona che, oggi, abbia un carattere del genere.

In India, vi è una setta monastica che prova ad assicurare il castello del Graal in un altro modo.
I ragazzi vengono tenuti nella reclusione monastica dalla nascita fino all'età di sedici anni, età in cui vengono fatti sposare e, quindi, sono ricondotti alla vita monastica dopo la nascita del pri­mo figlio.
In questo modo, il tempo che intercorre tra i due castelli del Graal è di un anno soltanto invece dei trent'anni che di solito separano i due incontri, a sedici e a quaran­tacinque anni.
Anche questa possibilità può essere pratica­bile per personalità molto semplici, di tipo medioevale, ma non da noi (e, inoltre, ci si chiede che ne è della moglie e del figlio!) e io mi chiedo..non è che queste pratiche sostituiscano invece la funzione materna e diventano esse stesse materne a vita?

Se l'esperienza del castello del Graal è molto forte, può quasi invalidare un ragazzo.
Quei giovani che vagabonda­no senza un apparente obiettivo o motivo sono spesso gio­vani semiaccecati dall'esperienza del castello del Graal.

Molti uomini trovano l'esperienza dei castelli del Graal così dolorosa, così incomprensibile da rimuoverla imme­diatamente e dire: «Non ricordo».
Ma non riusciamo a li­berarci dell'esperienza, come del resto non riusciamo a libe­rarci di tutto ciò che rimuoviamo nell'inconscio: la ritro­viamo ovunque, dietro ogni albero, girato ogni angolo, alle spalle di ogni persona che incontriamo.
La fame di un 'qualche cosa', l'irrequietezza del sabato sera, lo stridore dei pneumatici dietro l'angolo sono tutti echi della fame, non così lontana, del castello del Graal.

La ricerca adotta molti linguaggi per presentarsi.

Tanti dei comportamenti da galletto dei giovani non so­no che un tentativo di distogliersi dall'esperienza del ca­stello del Graal.
Gli fa tanto male che non la possono sop­portare e cercano di convincersi di essere dei veri duri per sfuggire al dolore.
Molta pubblicità gioca su questa fame.
Non ho idea di quanto consapevolmente i pubblicitari lo facciano, ma di certo hanno un inquietante modo di far affiorare questa fa­me in noi: si può vendere a un uomo praticamente qualsiasi cosa se, indirettamente, la si chiama Graal.

Anche l'eccitazione e il richiamo delle droghe derivano principalmente dal modo magico in cui sanno riproporre il ritorno all'estasi del castello del Graal.
Le droghe induco­no un'esperienza estatica e conducono in un mondo di vi­sioni, ma lo fanno nel modo sbagliato ed esigono un prezzo tremendo.
Il modo giusto non richiede necessariamente un tempo lungo o una strada lunga; ma non ci sono scorcia­toie. 
Se si bara durante il processo, il ponte levatoio può richiudersi al momento sbagliato e intrappolare nella paz­zia o in una sofferenza infernale.

Quando pensiamo che qualche cosa o qualcuno sazierà la fame del Graal che sentiamo dentro, nessun prezzo ci sem­brerà troppo alto.
Molte delle motivazioni della tarda ado­lescenza (la temerarietà, la velocità sfrenata sull'autostrada, le droghe) derivano dalla fame del Graal.

Se il giovane cerca di sfuggire alla ricerca del Graal, in uno dei molti modi possibili, si troverà ben presto ad essere un vecchietto capriccioso.

Una volta chiesi a un amico come stesse. Molto onesta­mente, rispose: «Beh, Robert, mi stanno venendo un sacco di manie».

Il Graal è molto lontano in un momento simile.

Le esperienze che la donna fa del Graal sono molto diver­se da quelle dell'uomo.
 Lei non lascia (lasciava!) mai il castello del Graal e mantiene un senso di bellezza, di connessione, un sentirsi a casa nell'universo che l'uomo non possiede.

L'uomo crea a partire dalla propria irrequietezza; la donna crea perché sa quello che è sempre stato.

Parsifal deve par­tire per una serie quasi infinita di avventure cavalleresche; Bianche Fleur se ne rimane nel suo castello.

Albert Einstein, da vecchio, disse: «Quella stessa solitu­dine che da giovane mi faceva tanto soffrire, adesso mi ri­scalda»: aveva restaurato il castello del Graal e aveva impa­rato a farlo in una vita eroica di cavaliere moderno.

Molti uomini cercano di delegare a una donna reale il compito di saziare la loro fame del Graal.
Questo significa chiedere a una donna di assumersi un ruolo che non può assolutamente incarnare (chi mai può essere un archetipo vivente?) e non vedere il miracolo che essa è di per sé.

L'attuale fascinazione esercitata dalle religioni orientali rappresenta una ricerca diretta del Graal.
Gli orientali non si sono mai spezzati in due come abbiamo fatto noi oc­cidentali e non hanno mai diviso il mondo sacro da quello profano nel modo tragico in cui lo abbiamo fatto noi.
Nes­sun orientale tradizionale perde mai la strada del castello del Graal. I maestri asiatici ci guardano e dicono: «Che co­sa sono mai questa grande fretta e questa grande fame che ci sono in voi?» Qualcuno ha parlato di noi come di «quei rapaci uccelli ariani».

 Un popolo alle prese con una ricerca così urgente è senz'altro formidabile.

Il ponte levatoio ci fornisce una chiave per capire la na­tura del castello del Graal: esso non esiste nella realtà fisica.
È una realtà interiore, è visione, poesia, esperienza mistica e non può essere reperito in alcun luogo esterno.
Cercarlo all'esterno significa esaurirsi e sollecitare lo scoraggiamen­to.

Pure, la nostra devozione verso le cose esterne come unica realtà è tanto forte che molti di noi devono passare attraverso un'esplorazione o un dramma esterno per ali­mentare la ricerca interiore.

Persino questo è sospetto, per­ché il Graal è sempre immediatamente disponibile e lo si ottiene più facilmente spogliandolo dell'isolamento che lo circonda che non compiendo azioni creative.

Un proverbio medioevale cristiano dice: «Cercare Dio è insultare Dio».

 Questo sottintende che Dio è sempre pre­sente e che cercarlo costituisce un rifiuto di questo fatto.
Un mio amico chirurgo usa dire: «Non aggiustare quello che non è rotto».
Ed è solo un'estensione di ciò il dire: «Non cercare quello che è a portata di mano».
Ma noi sia­mo occidentali e dobbiamo cercare per imparare che non vi è ricerca.

C'è una storia cinese che illustra bene questo concetto. Un pesce udì degli uomini che, sul molo, parlavano di una sostanza miracolosa chiamata acqua.
Il pesce ne rima­se così affascinato che riunì i suoi amici pesci e annunciò solennemente che sarebbe partito alla ricerca di questa ma­teria miracolosa. I pesci celebrarono una cerimonia adegua­ta e lo mandarono per la sua strada. Passò molto tempo ed essi lo consideravano ormai disperso nel suo viaggio peri­glioso quando lo videro nuotare verso casa, invecchiato, stanco, logoro. Si affrettarono verso di lui, lo salutarono e gli chiesero pressanti: «L'hai trovata? L'hai trovata?» «Sì,» rispose il vecchio pesce, «ma voi non credereste a ciò che ho trovato.» Detto questo, il vecchio pesce si allon­tanò nuotando lentamente.
C'è un'analogia molto istruttiva tra il viaggio di Parsifal e il  viaggio di Cristo.
 Le due storie si assomigliano per molti aspetti, con l'importante differenza che l'uomo molto sag­gio, Cristo, compie la ricerca nel modo giusto.

Ma dovette anch'egli passare attraverso tutte le fasi, senza saltarne alcu­na.
Quando Cristo, all'età di dodici anni, si recò al tempio e rimproverò i genitori, questo fu il suo primo castello del Graal.

Egli toccò qualcosa di molto profondo: la propria forza, il proprio essere uomo. Questo contatto non lo ferì, perché comprese.
In seguito, dovette fare ritorno al castel­lo del Graal una seconda volta per prendervi residenza per­manente.
Fece tutto questo in modo molto saggio, lascian­doci un prototipo da seguire.
Io amo il mito del Graal del dodicesimo secolo perché ci offre una descrizione più terre­na e umana del nostro cammino.
Riconosco maggiormente Parsifal che non il martire in me stesso.

Afrodite=acqua 

Coscienza dell'acqua=Psiche

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