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lunedì 27 dicembre 2010

mito di Psiche 10 - Quando si torna "a casa dalla mamma" ovvero Afrodite prende il sopravvento

non è mai un caso, con il crono di questi due miti, rispetto al nostro kairòs..


Queste festività..con Afrodite ovunque imperante non possono non essere un validissimo specchio e confronto mentre leggiamo i passi che seguono.
E' inutile ricordarvi (spero) che quando di parla di uomo s'intende la nostra parte maschile e quando si parla di donna la nostra parte femminile....:-)










Addentrandoci nel mito, vediamo che, quando Psiche lo ferisce, Eros vola da Afrodite per ricomparire soltanto alla fine della storia. Torna a casa dalla mamma. Questo è pre­cisamente ciò che tutti gli uomini fanno quando le mogli li feriscono nella coscienza: si rifugiano nel complesso mater­no. Forse non ritornano fisicamente a casa, ma si ritirano nel complesso materno e per un po' scompaiono. Se un uo­mo diventa improvvisamente silenzioso, se assume un com­portamento negligente e non disponibile, può essere che sia 'tornato a casa dalla mamma': Afrodite ha assunto il co­mando.
D'altra parte, se consideriamo Eros come l'Animus della donna, possiamo forse dire che Eros ha mantenuto Psiche in paradiso in uno stato di inconscia possessione fino a quando lei ha acceso la lampada della coscienza e allora, in quanto Animus, lui è tornato in volo nel mondo interio­re.
Jung sostiene che l'Anima e l'Animus esplicano la loro maggiore funzione quali mediatori tra le parti coscienti e quelle inconsce della personalità.
Quando Eros fa ritorno al mondo interiore di Afrodite, è in grado di mediare a fa­vore di Psiche con la madre stessa, con Zeus e con gli altri dei e dee del mondo interiore archetipico.
Come vedremo, gli sarà possibile aiutare Psiche nei momenti critici del suo sviluppo servendosi di elementi naturali, terreni, quali le formiche, l'aquila e il giunco.
Si potrebbe affermare che la donna, per potersi evolvere, debba spezzare il dominio inconscio della sua componente maschile subordinata, in gran parte inconscia, che pone le condizioni dei suoi rapporti con il mondo esterno, spesso in maniera negativa.
Perché la donna possa perseguire il suo sviluppo, l'Animus, coscientemente riconosciuto come ta­le, deve prendere posto tra l'Io cosciente e il mondo inte­riore inconscio, dove può fungere da mediatore.
 In questo modo viene a costituire per la donna un aiuto fondamen­tale.-
(Cosa significa questo? Sembra complicato ma non lo è.)

La donna posseduta dall'Animus non è per niente consa­pevole dell'Animus stesso.
Presume che il comportamento che le deriva dall'Animus sia il comportamento originato dall'Io. In realtà l'Io, in queste circostanze, è sopraffatto dall'Animus.

Tuttavia, quando la donna accende la lampa­da della coscienza, vede correttamente l'Animus come istanza separata dall'Io.
In modo simile a Psiche, di solito ne è soverchiata. L'Animus sembra potente e divino men­tre l'Io, al confronto, sembra indifeso e privo di valore. Si tratta, per la donna, di un momento disperato e pericoloso.
 Ma non è la fine. Dopo essere passata attraverso lo spaven­toso sconvolgimento del primo vero riconoscimento del­l'Animus e dopo essere stata sopraffatta dalla propria appa­rente inadeguatezza al confronto, in seguito si sente egual­mente sopraffatta dalla grandezza dell'Animus.
Quando ci si accorge di avere al proprio interno un elemento divi­no, ne risulta una reazione di esaltazione, un'esperienza in­tensissima, molto simile a quella dell'innamoramento.
Quando Psiche accese la lampada, si aspettava di vedere un mostro, e invece vide un dio. Per le donne, l'uomo è spesso un dio o un mostro. Quando ne ho il coraggio, rie­sco a dire che se si inonda onestamente di luce un'altra per­sona, si trova un dio o una dea. Non c'è affermazione più grande di quella che riconosce nel proprio compagno, se lo si guarda davvero, un dio o una dea. Lo stesso vale per la donna quando è finalmente in grado di vedere cosciente­mente il suo Animus, il suo Eros interiore. Scoprirà che ha una qualità divina.

La visione di Psiche è in qualche modo paragonabile alla prima visione che Parsifal ha del castello del Graal. Parsifal vede un mondo incredibilmente bello, nel quale è tuttavia incapace di rimanere. Allo stesso modo, Psiche perde Eros quasi immediatamente dopo averne scoperto la vera e ma­gnifica natura divina.


Ed ecco che è proprio in questi giorni che stiamo trascorrendo dopo il Natale che possiamo accendere la lampada su noi stessi, ergersi ad avere il coraggio di vedere dapprima e poi riconoscere come nostro, il nostro Animus. Non è nato bensì l'abbiamo portato alla luce...e ri-conosciuto...

giovedì 23 dicembre 2010

mito di Parsifal 10 - Natale al maschile


Questa intra-lettura dei due miti di Psiche e Parsifal, è cominciata a caso, e mi stupisco, stasera, nel vedere quanto essa diventi sincrona con i tempi che le scorrono accanto.........il dolore del concepimento..la spada e il calice.....


Qui si addice il mio silenzio....





Continuiamo la nostra storia.

Parsifal ha viaggiato tutto il giorno nella sua ricerca eroi­ca e, al calar della notte, chiede a qualcuno se vi sia una locanda o una taverna nei pressi, nella quale passare la not­te.

Viene informato che non vi sono abitazioni nel raggio di trenta miglia. Un po' più tardi, Parsifal incontra un uo­mo che sta pescando nella sua barca e gli chiede se conosca un luogo in cui pernottare.
Il pescatore, che è il Re Pesca­tore, lo invita nella propria umile dimora: «Prosegui ancora un po' per questa strada, quindi gira a sinistra e attraversa il ponte levatoio».
Parsifal esegue e il ponte levatoio si chiu­de proprio mentre sta passando e sfiora la coda del suo ca­vallo.
Entrare nel castello del Graal è molto pericoloso, perché è la casa del Re Pescatore e molti giovani hanno perso il loro cavallo nella transizione tra il mondo comune e il mondo immaginario, simbolico, del castello del Graal.

(che giorno è oggi? 23 dicembre....)

Parsifal si ritrova nel vestibolo di un grande castello dove quattro giovani gli prendono il cavallo, lo lavano, gli dan­no indumenti puliti e lo conducono di fronte al signore del castello, il Re Pescatore.
Il Re accoglie Parsifal scusandosi perché, a causa della ferita, non è in grado di alzarsi dal suo giaciglio.
L'intera corte, quattrocento dame e cavalie­ri, è nel salone per ricevere Parsifal e celebrare una splen­dida cerimonia.
Da un contesto di tale magnificenza, si capisce che Par­sifal è capitato nel mondo interiore, nel luogo dello spirito e della trasformazione.
In modo particolare, l'evidenza con­ferita al numero quattro (quattrocento dame e cavalieri, quattro giovani, quattro facce sul grande camino che indi­cano i quattro punti cardinali) fa intuire lo splendore del mondo interiore: siamo davvero nel castello del Graal, do­ve viene conservato il Sacro Graal dell'Ultima Cena.
Una grande cerimonia si svolge. Mentre il Re Pescatore geme di dolore nel suo giaciglio, una damigella porta la lan­cia che ha trafitto il costato di Cristo, un'altra dama porta la patena nella quale fu servita l'Ultima Cena e, alla fine, una terza damigella porta il Sacro Graal1.

Viene servito un grande banchetto e ciascuno riceve quello che desidera dal Graal o dalla patena prima ancora di aver formulato il desiderio.

Ciascuno, ma non il Re Pe­scatore. A causa della ferita, lui non può bere dal Graal e la sua sofferenza è resa ancora peggiore proprio da questa de­privazione.

La nipote del Re Pescatore porta una spada che il re as­sicura al fianco di Parsifal: egli dovrà tenerla con sé per tut­ta la vita.
E a questo punto che un giovane uomo si guada­gna la mascolinità e la forza insita in essa per portare a ter­mine i compiti che gli rimangono nella vita.

C'è un altro dono disponibile al castello del Graal, ma Parsifal non supera la prova necessaria per ottenerlo.



Gournamond aveva informato Parsifal che, una volta trovato il Graal, avrebbe dovuto fare una specifica domanda:

 «Chi serve il Graal?»

Se questa domanda viene posta, la grande cornucopia della vita, il Graal, elargirà tutte le sue benedi­zioni.
Se la questione non viene posta, sarà sì possibile bere dal Graal, ma questi non lascerà scorrere tutta la sua im­mensa generosità.

Mentre Gournamond aveva istruito Par­sifal perché ponesse la domanda, la madre, d'altro canto, al momento di salutare il figlio gli aveva detto di non fare do­mande: consiglio saggio per un giovane querulo, ma quasi fatale in questa situazione.

Il consiglio della madre ha il so­pravvento e Parsifal se ne sta muto di fronte allo splendore del castello del Graal.

 E' comprensibile che un ragazzo di campagna di sedici anni non trovi la forza o il coraggio di porre la domanda più importante della vita in un mo­mento simile: per chiedere, egli dovrebbe essere cosciente.

E come se non bastasse, e con un significato più profon­do, correva una leggenda al castello del Graal: che un gior­no un Folle Innocente si sarebbe avventurato nel castello, avrebbe fatto la domanda sul Graal e, in questo modo, avrebbe guarito la ferita del Re Pescatore.

Tutti al castel­lo, tranne Parsifal, conoscono la leggenda e osservano con attenzione se Parsifal, che possiede tutti gli attributi di un Folle Innocente, porrà la domanda risanatrice.

Ma Parsifal non chiede ed il Re Pescatore, che geme e si contorce per il dolore, viene ben presto riportato nella sua stanza.

Le dame e i cavalieri si disperdono e Parsifal viene scortato nella sua camera da letto dai quattro giovani.

Il mattino successivo Parsifal, al risveglio, si ritrova da solo.

Sella il suo cavallo e attraversa il ponte levatoio, che si richiude di colpo appena Parsifal è passato (ancora un passaggio pericoloso) e torna nel mondo comune.

Non ci sono castelli intorno e il Folle Innocente è ancora nel regno dove non ci sono abitazioni nel raggio di trenta miglia.

infinito piacere di esistere in questi giorni che verranno amici miei........



sabato 18 dicembre 2010

Mito Psiche 9: Amore o Innamoramento? "capacità" di vivere


Molti saggi, saggetti, bigliettini da baci perugina, frasi fatte, proverbi..ognuno ha sempre detto la sua sull'amore e l'innamoramento.
Ma la Verità è ben altro.
 L'Amore E'
L'Innamoramento FA

Ora viene la parte più spinosa, ma più gratificante, del mi­to. 
Dapprima Eros si punge un dito con una delle sue stesse frecce d'amore e, di conseguenza, si innamora di Psiche. 
In un certo senso, questa è l'azione che ribalta, o fissa, la situa­zione. 
Eros era stato inviato perché facesse in modo che Psiche si innamorasse di un mostro, la Morte stessa, la più orrenda delle bestie, ma lui si era punto un dito con una delle sue stesse frecce e si era innamorato di Psiche. 
Poi lei aveva tirato fuori la lampada per guardare quel ma­rito che supponeva demoniaco e invece aveva visto che era il dio dell'amore. 
Quindi, incidentalmente, anche lei si era punta un dito con una delle frecce e si era innamorata del dio dell'amore. Questa è la faccenda che più lascia perples­si: Psiche si innamora dell'amore.

La qualità dell'innamoramento è una qualità sovrumana che il genere umano non è in grado di sopportare con faci­lità. Quando ci succede, veniamo spinti come dal vento in regni che ci intossicano, a livelli di coscienza sovraordinati che, quasi senza eccezione, superano la nostra capacità di vivere. (zoom..."superano la nostra CAPACITA' di vivere" cosa significa? ...questa frase merita in Oscar per essere stata scritta...)

Dobbiamo differenziare l'amore dall'essere innamorati. Ci vuole coraggio per cercare di dare delle definizioni di que­sti due stati.

Amare un'altra persona significa vedere questa persona nella sua verità e apprezzarla per ciò che veramente è: la sua ordinarietà, le sue mancanze e la sua magnificenza. 

Quando riusciamo a fendere la nebbia delle proiezioni nel­la quale viviamo tanta parte della vita e riusciamo a guar­dare un'altra persona nella sua verità, quella persona, nella sua individualità terrena, è una creatura magnifica.
Il pro­blema è che le persone sono così tante e noi siamo talmen­te accecati dalle nostre stesse proiezioni (proiezione = gettare avanti) che raramente riu­sciamo a vedere l'altro in tutta la sua profondità e nobiltà.


Una volta tentai un esperimento: immaginai che tutte le persone della terra fossero scomparse a eccezione di me stesso e di un'unica altra persona. Uscii per vedere se sarei riuscito a trovare quell'unica rimasta, per vedere come quella persona sarebbe stata e in che modo io l'avrei accol­ta. Trovai qualcuno. 


Per un attimo, vidi il miracolo di ciò che un altro essere può essere. Ce n'era solamente uno, e quell'uno assumeva un valore infinito. Una vera e propria meraviglia.


Amare è un qualche cosa di simile. Significa vedere nel­l'altro l'esperienza terrena, pratica, immediata che l'essere umano è. 


L'amore non è illusorio


Non è vedere l'altro nel ruolo o nell'immagine particolare che abbiamo dise­gnato per lui. 
Amare significa valutare un altro per la sua personale unicità all'interno del contesto del mondo quo­tidiano. 
E' un qualche cosa che regge. E' reale. Se qualcuno mi avesse detto dieci o quindici anni fa che avrei equipara­to l'amore alla durata, ne sarei stato sconvolto e mi sarei arrabbiato, ma penso che la mezza età mi abbia portato un po' di saggezza.


Essere innamorati è un'altra questione. Essere innamorati implica l'intrusione, nel bene e nel male, di un mondo ar­chetipico, sovrapersonale o divino. 


Improvvisamente ve­diamo nell'amato un dio o una dea; attraverso di lui vedia­mo un regno dell'essere che è sovrapersonale, sovraconscio. Tutto questo è altamente esplosivo e incendiario; una follia divina. 
I poeti usano termini stravaganti per parlarne.

Se osserviamo due persone innamorate che si guardano l'un l'altra, sappiamo perfettamente che stanno guardando l'una attraverso l'altra. Ciascuno dei due è innamorato di un'idea o di un ideale o di un'emozione. Sono innamorati dell'amore. Le donne sono delle Psiche che vedono Eros nel suo ruolo di dio dell'amore piuttosto che come una per­sona che conoscono e amano per se stessa.

La cosa peggiore dell'innamoramento è che non dura. Un giorno, la visione brillante dell'amato, che prima ave­va danzato sfolgorante di bellezza davanti ai nostri occhi, ci sembra insignificante e noiosa. La qualità transpersonale che lo rendeva simile a un dio si affievolisce, mentre si ri­vela l'uomo personale, terreno, comune. Questa è una delle esperienze più tristi e dolorose della vita. 
La qualità dell'in­namoramento è la visitazione di un qualche cosa di divino. Si tratta di un dio o di una dea apparsi sulla faccia della terra che non si adattano alle dimensioni umane.
E allora, che cosa ci dice il mito? Lo stesso dio dell'amore, Eros, si punge con una delle proprie frecce e si innamora di una mortale. Apparentemente, gli dei possono reggere una situazione simile. Non è troppo difficile per il dio dell'amo­re essere assalito dall'esperienza dell'innamoramento, per­ché si tratta della sua stessa natura.
Eppure, persino gli dei dell'Olimpo temono Eros. Le sue frecce gettano nel panico persino le dee e gli dei più alti. Persino loro sono vulnerabili, e lo stesso dio dell'amore co­nosce l'esperienza dell'innamoramento.

Ma quando un semplice mortale viene improvvisamente ferito da quella freccia fatale e si innamora, allora la faccen­da si fa molto grave. 


E' stato detto che il temerario sguardo che Psiche volge a Eros costituisce il primo episodio della sto­ria in cui un mortale ha potuto incontrare un dio o una dea senza soccombere. Prima di questa occasione, quando un mortale entrava in contatto con un dio o una dea veniva in­cenerito, cancellato, dalla forza di quell'incontro.
In termini psicologici, si può dire che prima di quel punto dell'evoluzione del genere umano, se una donna o un uomo toccavano un archetipo, venivano semplicemente cancel­lati. Non sopravvivevano. Il mito ci dice che, da allora e in determinate circostanze, quando un semplice mortale at­traversa un'esperienza archetipica può sopravvivere, ma ne sarà radicalmente cambiato. Penso che sia questo ciò che la nostra storia ci insegna. Un mortale tocca qualche cosa che ha dimensioni sovramortali e vive per raccontare l'accaduto. In questo contesto, possiamo vedere che cosa significhi essere toccati dalle frecce del dio dell'innamora­mento. Possiamo vedere l'enormità dell'avvenimento, la trasposizione dei livelli implicati. Questa è l'esperienza in­credibile ed esplosiva dell'innamoramento.
(il punto successivo è: amare riuscendo a restare perennemente innamorati. Come si fa?)

Gli orientali non si 'innamorano' allo stesso modo degli occidentali. Essi si avvicinano ai loro rapporti in maniera tranquilla, non drammatica, non toccati dalle frecce di Eros. I matrimoni vengono combinati. Tradizionalmente, l'uomo non vede la sua sposa fino a quando la cerimonia è finita ed essa si toglie i veli. Allora lui la conduce a casa e segue il modello prescritto di comportamento dello sposo nei confronti della sposa.
I miei sentimenti occidentali sono stati toccati l'altro giorno quando ho ricevuto la lettera di un indiano di ven­tanni che non conosco bene ma con il quale ho instaurato un rapporto epistolare. Aveva deciso che sarei stato il ma­rito perfetto per la sorella di diciotto anni e voleva sapere se io fossi d'accordo. La dote e le altre questioni pratiche po­tevano essere discusse. Sono rimasto con la testa tra le nu­vole per tutto il giorno. 
Senza sforzo alcuno, persino senza innamorarmi, potevo avere una moglie, e per di più di di­ciotto anni.
Poi gli ho scritto dicendogli che non era possibile, che ero decisamente troppo vecchio per sua sorella.

La nostra storia narra di una donna toccata da un qualche cosa di decisamente eccessivo per la comune esperienza umana. Il resto del mito ci dice come sopravvivere a que­sto tocco divino.

Un tempo, l'esperienza dell'essere toccati dagli dei aveva luogo in un contesto religioso, ma noi uomini moderni ab­biamo assegnato alla religione un ruolo relativamente mar­ginale nella nostra vita. La prendiamo alla leggera e, ben che vada, la circoscriviamo alla domenica. Raramente si sente di qualcuno che è stato profondamente toccato da un'esperienza religiosa. La religione si è intiepidita nella cultura occidentale e noi pensiamo di essere troppo saggi per farle spazio. 
Anche coloro che sono rimasti attaccati alle forme religiose tradizionali non se ne sentono granché mossi; la loro vita spirituale, interiore, non ne viene nutrita in modo profondo, sconvolgente.
Io ritengo che questo incontro profondo, l'essere toccati dallo splendore o dalla forza di un dio, sia caduto sul nostro particolare concetto occidentale di innamoramento. ci sentiamo toccati.


(qui vorrei fare un inciso personale.  Non esiste un numero limitate di persone di cui mi posso innamorare, nè che poi conseguentemente amo. Se m'innamoro poi amo. Parrà strano, ma succede. Perchè succede? Perchè non disgiungo MAI l'esperienza spirituale da quella terrena. Ogni persona che incontro è una parte del tutto e lo vedo nella sua magnificienza e nei suoi limiti. Niente d'illusorio, tutto reale..)

Il mito racconta che Psiche accende la lampada e vede che, in effetti, è sposata con un dio. Si punge un dito con una delle frecce di lui e si innamora dell'amore. E, immediatamente dopo, lo perde. Quanto spesso accade alle persone che vedo­no la qualità divina di un altro, quando si innamorano!

Amare significa avvicinarsi a un'altra persona, avere dei legami, fondersi con l'altro. Innamorarsi di una persona si­gnifica guardare diritto attraverso di essa e quindi perderla irrevocabilmente. Questa è una cattiva notizia. Non ci pia­ce e raramente ne comprendiamo il significato.


(zoom..perderla..perchè perdela? Perchè nulla di ciò che è magnifico può appartenere a nessuno. La magnificienza non aoppartiene neanche a chi la incarna. La magnificienza è la vita che si esprime al suo più alto livello. Ma la vita non è un'oggetto fermo, la vita scorre proprio per sua intrinseca natura. Non può essere di nessuno)

Quando guardiamo alla qualità divina di un'altra perso­na, guardiamo le dimensioni magnifiche, transpersonali che essa incorpora. E questo, per definizione, pone quella persona al di fuori della portata del nostro regno quotidia­no, a meno che abbiamo scoperto la nostra stessa qualità divina, il che è raro. 
(qual'è la vostra qualità divina?)


Ecco perché innamorarsi fa tanto ma­le. Sembra esserci un paradosso intrinseco per cui nello stesso momento in cui ci si innamora di qualcuno bisogna riconoscerne l'assoluta unicità e, quindi, bisogna ricono­scerlo come essere separato. In una situazione simile, sia­mo dolorosamente consapevoli della distanza, della separa­zione e dell'impossibilità di rapporto. E, inoltre, c'è il terri­bile senso di inferiorità che prova la donna quando accende la lampada e scopre che il compagno che presume­va fosse un semplice mortale è un dio. Si tratta di un sen­timento solitario e devastante.





Eppure, l'atto stesso di essere fatti a pezzi dall'innamora­mento contiene la possibilità della soluzione. Se si hanno la forza e il coraggio necessari, da questo smembramento può derivare una nuova coscienza della propria unicità e valore. Si tratta di una strada difficile da percorrere, ma for­se per alcuni temperamenti non c'è altra strada.
Il modo migliore per risolvere il problema consiste nel rimanere assolutamente immobili, come, alla fine, fa Psi­che. Dopo aver superato i propri sentimenti suicidi, si sie­de e rimane ferma. Quando si è perso il senno, quando si è perso il lume della ragione, è meglio rimanere immobili.


(e qui mi rivolgo alle donne: restate immobili. Siate ferme, non agite e sopratutto..tacete! anche con voi stesse. Imparate a vivere il dolore, immergetevici dentro, e restate ferme)


Per questo detesto gli "abbracci" con tutta me stessa. L'abbraccio nella gioia ma MAI nel dolore. Il dolore deve trovarci soli e deve agire in noi da soli: solo così può trasformare.

Non è possibile dire questo ai giovani. Si tratta di una saggezza cui si può prestare orecchio soltanto in anni più maturi.
Una volta dovetti mediare una situazione molto imbaraz­zante in cui due persone che si erano innamorate l'una del­l'altra stavano creando danni considerevoli alla piccola co­munità in cui vivevano. Il mio consiglio fu di lasciarli stare, di non imporre loro alcuna proibizione ed essi avrebbero trovato da soli un equilibrio. E lo trovarono. Questo è in­trinseco alla situazione dell'innamoramento. Essa deve ave­re le sue barriere e la sua tragedia. La tragedia sta nell'avere una visione che non si può raggiungere. I filosofi e i poeti ci dicono che l'innamoramento è una condizione tragica. Co­me dicevo prima, amare qualcuno significa calore, significa avvicinamento, ed è una condizione gestibile. Ma l'inna­morarsi, il vedere la divinità di un altro, non è umanamen­te gestibile.

L'innamoramento può trasformarsi in amore. È quello che succede nei matrimoni riusciti. Il matrimonio comin­cia con l'innamoramento e, se va bene, compie il passo suc­cessivo verso l'amore. Ed è proprio questo, in un certo sen­so, ciò che dice la nostra storia. Essa comincia come la sto­ria di una collisione tra una mortale e un dio, tra due livelli dell'essere, tra l'umanità e una qualità sovrumana. Noi ci struggiamo per quella qualità sovrumana e poi ci meravi­gliamo perché non riusciamo a mantenerla. Non è umana­mente possibile mantenere la qualità dell'innamoramento. 
Ricordo un cartone animato di James Thurber in cui c'è una coppia di mezza età che litiga e lui grida a lei: «Be­ne, chi ha tolto la magia dal nostro matrimonio?»
Quando veniamo toccati da un dio o da una dea che cosa dobbiamo fare? La nostra cultura lascia questa domanda in gran parte senza risposta. La maggior parte della gente sof­fre e regge lo svanire della visione divina della persona amata, si adagia nella monotonia della mezza età e pensa che, dopo tutto, la visione un tempo avuta di una qualità sovrumana sia stata un po' folle. L'alternativa femminile a questa fine dell'innamoramento, così deprimente e da sconfitti, ci occuperà per il resto della storia.

Psiche si ricollega alla propria femminilità elementare. Chiede l'aiuto di Afrodite, la quale le assegna una serie di compiti da portare a termine (che rappresentano fasi evolutive del suo sviluppo interiore), alla fine dei quali vie­ne convocata sull'Olimpo e resa dea.
Psiche sposa Eros e mette al mondo il suo bambino. Que­sta è la risposta più nobile possibile alla domanda di fronte alla quale la nostra società si trova più perplessa.
Essere toccati da un'esperienza divina significa aprirsi per imparare una coscienza divina, divina nel senso greco, olimpico. I Greci descrivevano gli archetipi come dei, il che era molto più poetico e adeguato che non i nostri ter­mini moderni. 


È tanto bello quanto intelligente parlare di dio e dea, di Eros e Psiche, che sono i grandi archetipi che operano in noi quando siamo innamorati. Quando questa qualità ci ha toccati, non possiamo più ritornare a modali­tà semplici, superficiali, inconsce. Quasi sempre la persona di oggi avverte questo tocco divino quando si innamora di un'altra persona. La storia ci insegna che sono molti i modi in cui gli uomini sono stati toccati da un qualche cosa di più grande di loro, ma per i nostri tempi, Eros rappresenta l'intermediario principale tra noi e la forza di Dio.


Oggi, tra voi, c'è qualcuno disposto ad innamorarsi? 
Disposto al dolore che ne consegue?
Disposto ad amare in primis se stesso nella sua magnificienza e nei suoi limiti?
io ogni istante

lunedì 13 dicembre 2010



Abbiamo lasciato Parsifal alle prese con Blanche Fleur e la sua brama di Musa e qui c’è da aprire un capitolo importante su una condizione (maschile e femminile) che oggi sta prendendo molto piede, soprattutto negli uomini.
Farò pochi commenti in merito, ma uno credo sia necessario ed importante: l’uomo attuale NON si fida più della donna. E questo è da intendersi anche nel senso che la parte maschile di una donna non si fida più della sua parte femminile.
Ciò è molto grave. Il divario tra sentimento ed umore è divenuto insostenibile…
Leggete tutto considerando il termine “uomo” intercambiabile con donna.

Castità

La raccomandazione di Gournamond (di non sedurre mai una fanciulla e di non lasciarsene mai sedurre) ha un'im­portanza così fondamentale nel contesto della nostra sto­ria da meritare un capitolo a sé.

E’ importante ricordare che stiamo studiando un mito allo stesso modo in cui studieremmo un sogno e che, quindi, applichiamo al mito le stesse leggi del sogno. Il sogno ri­guarda quasi sempre il materiale interiore e ogni parte del sogno deve essere vista come parte del sognatore. Per esem­pio, se un uomo sogna una ragazza, è quasi certo che questa simbolizza la sua possibilità femminile interiore. E troppo facile prendere alla lettera una tale figura onirica e riferirla all'interesse sessuale del sognatore o alla sua attuale fidan­zata. Se facciamo questo errore, perdiamo di vista il signi­ficato profondo del sogno.

Questo vale anche per il mito: se prendessimo alla lettera la raccomandazione di Gournamond, quella che ci trove­remmo di fronte non sarebbe che una vaga caricatura della cavalleria medioevale.
Che cos'è il femminile interiore dal quale Parsifal deve mantenersi distante? E tutta la dolcezza della femminilità, che ha un valore immenso se presa nel senso interiore ma che guasterebbe il nostro eroe se egli la fraintendesse e la vivesse in senso esteriore. (zoom…non si fa che parlare di “parte femminile” almeno da una 30ina d’anni..ma ho il fondato sospetto che questo non abbia fatto altro che farla rintanare ancora di più, mettendo invece in evidenza proprio la parte esterna e superfiale della questione)

Il sentimento è la capacità di attribuire un valore; l'umore, il capriccio, è l'essere sopraffatti o posseduti dal femminile interiore.
Sentire è l'arte sublime di avere una struttura di valori e un senso di significato: a che cosa apparteniamo, a che cosa siamo fedeli, dove sono le nostre radici. (essere coscienti di essere parte di un tutto e conoscerne la nostra funzione)

Essere umorali, capricciosi (e siamo già in difficoltà, poiché non esiste un termine adeguato che riassuma l'espressione 'esse­re preda di uno stato d'animo'), significa essere sopraffatti da un elemento irrazionale che semina distruzione nella vi­ta esterna dell'uomo. Il lato femminile della personalità collega l'uomo con le profondità del suo essere interiore e funge da ponte verso il Sé più profondo. (ora cosa accade oggi a tutte quelle ragazze che non vogliono relazioni perché…devono finire l’università, fare un progetto importante,…ecc..ecc..?)

Spesso l'uomo deve scegliere tra capriccio e sentimento, poiché se uno dei due lo impegna, per l'altro non c'è posto. Il capriccio impedisce il vero sentimento, nonostante un certo umore, un certo capriccio, possa apparire come un sentimento. Quando un uomo si lascia prendere da un cer­to umore, si priva automaticamente della capacità di pro­vare un vero sentimento e, di conseguenza, di stabilire del­le relazioni e di essere creativo.
Per usare il linguaggio an­tico, ha sedotto o si è fatto sedurre dal proprio femminile interiore. Non è legittimo che un uomo indossi il femmini­le all'esterno. L'uomo sopraffatto dai propri umori è come una meridiana alla luce della luna che segna il tempo sba­gliato. Il suo femminile interiore funge da 'musa ispiratrice' quando è messo al posto giusto, ma non gli è utile quando lo indossa come un capo di abbigliamento esterno e lo usa per mettersi in relazione con il mondo esterno. Il termine 'usare' è corretto in questo caso: ogni cosa e ogni persona si sente 'usata' quando l'uomo si mette in relazione con il mondo attraverso i suoi umori del momento.
Ecco la sedu­zione! Il sentimento, al contrario, costituisce una delle doti sublimi di un uomo e porta calore, dolcezza, relazione e per­cezione.
Spesso proiettiamo la relazione con il nostro femminile interiore, o la mancanza di relazione, su una donna esterna, reale. La donna umana è di per sé un miracolo, una bellezza che si offuscherà se cercheremo di imporle le leggi della no­stra donna interiore. Allo stesso modo, la donna interiore si rannuvola se la trattiamo con modalità esteriori3.
L'uomo ha soltanto due alternative per mettersi in rela­zione con la sua donna interiore: o la rifiuta, e lei gli si ri­volterà contro sotto forma di cattivi umori e seduzioni in­sidiose (Afrodite impèra!) , oppure l'accetta, e troverà dentro di sé una compa­gna che procede con lui nella vita e gli fornisce calore e forza. Se un uomo si lascia sedurre da un certo umore, cioè se malinterpreta la sua donna interiore vedendola come un qualche cosa che sta fuori, perde la sua capacità di relazio­ne; e questo è vero sia che si tratti di un buon umore, sia che si tratti di un cattivo umore.
Nell'uomo, la creatività è direttamente legata alla sua ca­pacità femminile di crescita e creazione.
La genialità, nel­l'uomo, sta nella sua capacità femminile interiore di gene­rare, dopo di che, sarà la sua parte maschile a fornirgli gli strumenti per dare a quella creatività forma e struttura e portarla nel mondo esterno.
Wolfgang Goethe, nel suo capolavoro, Faust, giunse alla nobile conclusione, negli anni tardi della vita, che la sfera di azione dell'uomo è quella di servire la donna.
Termina il Faust dicendo: «L'Eterno Femminino ci spinge oltre», cer­tamente riferendosi alla donna interiore. (Psiche)

La donna attenta sa quando l'uomo della sua vita soc­combe a un capriccio, perché ogni relazione in quel mo­mento ha fine.


Persino un 'buon umore' costa una relazio­ne. Tutta la capacità di relazionare, l'oggettività e la crea­tività hanno termine quando l'umore prende il controllo. Per usare il linguaggio degli induisti, servire la dea Maya (l'equivalente degli stati umorali della nostra Anima) chie­de il prezzo della realtà e la sostituisce con un'irrealtà chi­merica. Spesso il mito, nel suo linguaggio senza tempo, en­fatizza la situazione che descrive. Per fortuna, la possibilità della visione del Graal non è perduta per sempre. Ma fino a quando il capriccio ha il sopravvento, non c'è Graal: il ca­priccio imprime il proprio carattere nel mondo oggettivo e ogni visione oggettiva del vero splendore del mondo viene perduta. Si vende letteralmente il proprio diritto di primo­genitura per un pianto di illusioni.
La peggiore caratteristica della possessione da parte di un umore, di un capriccio, sta nella perdita, nella deprivazio­ne, di ogni significato.
Improvvisamente il 'di fuori' domi­na Impropria vita interiore e il senso interiore della vita va perduto. Ci si trova quindi in balìa del 'di fuori' per quanto riguarda il senso del nostro valore o la nostra felicità. Siamo tanto attaccati a un nuovo acquisto o all'ottenimento del favore di qualcuno che il nostro significato interiore ci sfugge, quando, invece, questo significato interiore è l'uni­co valore stabile che abbiamo. La possessione da parte di un umore ci deruba anche del mondo oggettivo e della sua vera bellezza e magnificenza, che è di per sé un signifi­cato profondo.
Depressione e inflazione

Depressione e inflazione sono parole che definiscono uno stato d'animo, un umore. Entrambe ci danno l'impressione di essere sopraffatti da un qualche cosa che non è il nostro vero Sé. Questo è la debolezza e l'incompetenza dell'uomo.
Gli umori ci orientano verso le persone o le cose esterne per trovare il senso del nostro valore e del nostro significa­to.
Qual è il garage occidentale che non sia strapieno di co­se che un uomo ha comperato nella speranza che gli avreb­bero portato un qualche senso, soltanto per essere poi scar­tate nel momento in cui non gli hanno fornito quello che aveva desiderato? Le cose materiali sono senz'altro valide e portatrici di valore quando ci mettiamo in relazione con loro in maniera adeguata; ma quando gli chiediamo di por­tarci un valore interiore, esse falliscono miseramente. L'u­nica eccezione a questa legge si ha quando un oggetto fisico porta un valore interiore che è significativo perché simbo- lieo o perché fa parte di un rituale. Il regalo di un amico può simbolizzare il grande valore che due persone attribui­scono alla loro amicizia se viene coscientemente investito di questo valore, ma costituirà un fallimento e andrà ad ag­giungersi alla collezione del garage se l'aspettativa è che si faccia portatore di quel valore in un contesto che non sia simbolico o rituale.
Nessuna cosa è di per sé buona o cattiva. Un uomo può armarsi della propria attrezzatura da pesca e passare, pe­scando, un sabato meraviglioso e rilassante. Il sabato suc­cessivo può avere un 'brutto attacco d'Anima', e ritornare dalla pesca di pessimo umore. E il livello di coscienza che determina la differenza tra queste due esperienze. 11 valore esterno e quello interiore sono entrambi profondamente reali; è soltanto quando si mescolano o si contaminano l'u­no con l'altro che possono causare dei problemi.
L'uomo non è padrone della propria casa interiore quan­do soggiace all'influenza di un certo umore: un usurpatore si è installato in lui e la risposta dell'uomo è quella di lot­tare contro l'usurpatore. Sfortunatamente, spesso sceglie di combattere questa battaglia al livello sbagliato; in altre pa­role, litigherà con la moglie o con l'ambiente circostante invece di affrontare la lotta all'interno, il che costituirebbe l'azione adeguata. La mitologia descrive la battaglia dell'E­roe con il suo Sé interiore come lotta con il drago, e l'uomo moderno è chiamato a combattere un numero di lotte con il drago non inferiore a quante ne combatteva la sua con­troparte medioevale. Potete aggiornare la mitologia e ren­derla drammaticamente viva se riuscite a trovare la fase moderna in cui le lotte con il drago, le damigelle e i cava­lieri rossi metteranno in scena fino in fondo il loro dram­ma.
Gli umori 'buoni' non sono meno pericolosi di quelli 'cat­tivi'. Aspettarsi la felicità dal proprio ambiente significa esercitare l'arte oscura della seduzione della propria fanciul­la interiore. Questo offusca il Graal tanto quanto il farsi sedurre dalla fanciulla, benché sia meno ovvio.
E importante sottolineare una differenziazione che è faci­le perdere di vista: quell'umore esuberante, effervescente, per metà fuori dal controllo, che fa sentire padroni del mondo, tanto apprezzato dagli uomini, è comunque una possessione ed è tanto pericoloso quanto il cattivo umo­re. Quando è di cattivo umore, l'uomo ha sedotto la sua Anima e la serra alla gola dicendole: «Devi farmi felice, altrimenti...» Questo significa trascinarla nel mondo infe­riore delle richieste di felicità dell'Io o nella propria inces­sante ricerca di intrattenimento.
Anche essere prigionieri di un umore esuberante significa essere sedotti dalla donna interiore. Essa sospinge l'uomo alle altitudini vertiginose dell'inflazione e gli fornisce uno straordinario facsimile di quella felicità che lui legittima­mente vuole. Una tale seduzione esigerà un alto prezzo in seguito, sotto la forma di una depressione che riporterà l'uomo sulla terra. Il destino dedica molto tempo a portare un uomo in alto a partire dalla depressione o in basso a par­tire dall'inflazione. Gli antichi Cinesi chiamavano tao, la via di mezzo, questo livello terreno, che è quello in cui esi­ste il Graal e in cui una felicità degna di questo nome può essere raggiunta. Non si tratta di un grigio luogo medio o di uno spazio di compromesso, ma del luogo della felicità, del colore, del significato veri. Non è niente di meno che la Realtà, o la vera casa.
Una forma di seduzione consiste nell'estorcere in antici­po il piacere da un'esperienza. Conosco due ragazzi che pia­nificavano una vacanza in campeggio. Per giorni e giorni prima di partire programmarono quanto bello sarebbe sta­to. Presi dal loro stato d'animo, vedevano nei pezzi della loro attrezzatura da campeggio dei Sacri Graal davanti ai quali si entusiasmavano, per esempio sull'efficienza di un determinato pezzo di corda o su quanto fosse affilato un col­tello. Stavano mungendo con molto anticipo la felicità dalla loro esperienza. In seguito scoprii che, alla prima tap­pa, si erano guardati in giro annoiati per mezza giornata, senza riuscire a immaginare qualche cosa da fare e quindi avevano preso l'auto ed erano tornati a casa: non c'era nul­la di interessante al campeggio! Avevano estratto in anti­cipo la vita dall'esperienza.
Il moderno uomo occidentale ha una serie di concetti erronei sulla natura della felicità. In inglese felicità si dice happiness e l'origine del termine sta nel verbo to happen, ac­cadere, il che implica che la felicità sta in ciò che accade. Le persone semplici che vivono in parti del mondo meno complicate della nostra funzionano in questo modo ed esi­biscono una felicità e una tranquillità che ci stupiscono. Come può un contadino indiano con così poco per essere felice essere così felice? O come può un peone messicano, anch'egli con così poco per cui essere felice, essere così spensierato come appare? Queste persone conoscono l'arte della felicità, cioè l'essere contenti di ciò che è. La loro fe­licità sta in ciò che accade. Se non riusciamo a essere felici al pensiero del pranzo, ci sono poche probabilità che sare­mo felici al pensiero di qualunque altra cosa.
Un saggio indù insegnava che la forma più alta dell'ado­razione consiste nell'essere semplicemente felici, natural­mente in senso profondo, non in senso umorale.
Thomas Merton, monaco trappista, una volta disse che un monaco può spesso essere felice pur non divertendosi mai: ecco un altro modo per differenziare la vera felicità da uno stato dell'umore.
Per molti anni della mia vita ho pensato che un certo stato d'animo 'capitava', proprio come capita un raffreddo­re. Ma piano piano ho imparato che gli umori sono i pro­dotti di uno stato di incoscienza intenzionale e possono es­sere rettificati da quella stessa coscienza che uno si è dato tanta pena di evadere. Un certo umore può essere contra­stato dall'entusiasmo. 'Entusiasmo' è una delle parole più belle del nostro vocabolario. 

Significa 'essere pieni di Dio', eri'theo-ism. È gratificante, ed è un'esperienza di valo­re, toccare l'entusiasmo mentre, all'estremità opposta della scala, è doloroso essere posseduti da un umore. Quando ri­diamo, compiamo un atto divino se siamo pieni della gioia di Dio; ma compiamo un atto blasfemo se ci lasciamo spaz­zare via da uno stato d'animo. La felicità è uno stato piena­mente legittimo; lo stato umorale, il capriccio, invita la de­pressione conseguente.

La donna affronta una sfida delicata quando il suo uomo cade vittima di un umore. Se fa emergere ciò che in lei è l'analogo del capriccio dell'uomo e comincia a punzec­chiarlo, mette in moto uno scambio estremamente negati­vo. Eppure, un'alzata d'ingegno le è possibile in questa si­tuazione: se riesce a essere più femminile dell'umore del­l'uomo, se reagisce a partire dalla sua femminilità più profonda (in contrasto con la femminilità fuori posto di lui), offre all'uomo un punto di vantaggio di realtà a parti­re dal quale lui può cominciare a uscire dal suo cattivo umore. La donna è molto tentata dalla punzecchiatura, dal sarcasmo, ma la sua femminilità naturale non è mai più creativa di quando essa può costituire un'àncora per un uomo preda del vorticare del suo femminile interiore.
Bisogna che il femminile della donna sia cosciente e ben sviluppato, come risultato delle molte lotte con il drago che anche lei deve combattere per salvaguardare il proprio regno femminile interiore.
La donna deve anche sapere che l'uomo ha molto meno controllo e molta meno consapevolezza sulle cose del fem­minile rispetto a lei. Molte donne presumono che l'uomo sia capace quanto loro di controllare il sempre cangiante gioco di luce e buio, di angelo e strega, presenti nell'ele­mento femminile. Nessun uomo è capace del medesimo ti­po di controllo che sa esercitare la donna e se la donna ca­pisce questo può essere paziente e comprensiva mentre l'uomo arranca anni luce dietro di lei nella propria com­prensione femminile. In altre condizioni della vita, si veri­fica l'inverno.

Nel nostro mito, Parsifal e Blanche Fleur ci forniscono un perfetto esempio della corretta relazione tra l'uomo e la sua donna interiore. Sono vicini l'uno all'altra; ciascuno riscalda l'altro e rende la vita significativa per l'altro: ma non c'è seduzione. Si tratta di una definizione sublime del­la relazione tra l'uomo e la donna interiore, ma se fosse pre­sa come esempio della relazione tra l'uomo e la donna in carne e ossa diventerebbe una ridicola storia da boy'Seout. Questa confusione dei livelli porta distruzione tra coloro che seguono le istruzioni medioevali sui modi-del-cavalie- re. Le relazioni interiori rispondono a inesorabili leggi di condotta; le relazioni esterne rispondono a loro proprie leg­gi, egualmente esplicite. Non mescoliamole.

Mi chiedo….quali saranno i nuovi Uomini e le nuove Donne? Chiedetevelo anche voi….

mercoledì 8 dicembre 2010

mito di Psiche 8 - Gli Strumenti

Questo capitolo ci porta davanti una questione che ho cercato d’insegnare (invano) per anni e anni: l’importanza degli strumenti.
Avere coscienza di possedere strumenti interni è già un problema per moltissime persone, imparare come usarli poi, diviene una sorta di rito alchemico.
Poter usare gli “strumenti” richiede la capacità di:
-        amare
-        astrarsi dall’emozionale
-        vedere la realtà da sola e successivamente con noi dentro

Uno degli elementi simbolici più interessanti del mito è rappresentato dalle istruzioni impartite dalle due sorelle. 
Esse consigliano a Psiche di fornirsi di una lampada e di un coltello, due simboli maschili.
È straordinariamente uti­le riuscire a capire la propria capacità di ma­neggiare questi due strumenti. 
Che cosa fa una persona che è come una lampada e che cosa fa una persona che è come un coltello? 
(riuscite a leggere questa frase senza porre il giudizio nei vostri pensieri? Avete pensato la parola "necessario"?)

Le sorelle dicono a Psiche dove deve tagliare, e cioè tra la testa e il resto del corpo, per decapitare il terri­bile mostro.

Il coltello è di uso privato; serve a discriminare, a chiarire, a tagliare i banchi di nebbia. È di uso interno. Se una persona riesce a ricordare di usare prima la lampada nei momenti difficili della sua vita coniugale o meno, allora potrà scegliere di usare o meno il coltello o dove usarlo. 

Di solito, invece, il coltello viene fuori per primo; la lampada serve alla persona per vedere quello che ha fatto.

Il coltello è quella capacità devastante che la donna ha (ora anche gli uomini in grande parte)  di sommergere l'uomo con un fiume di parole: è l'osservazione devastante quella che infilza l'uomo. 

In questo modo si comporta anche l'Anima dell'uomo, la sua parte femmini­le, quando l'uomo non ha un buon rapporto con essa. E' tagliente e sarcastica; arriva con il coltello in mano. 
La no­stra legge, di usare la lampada e non il coltello, si applica allo stesso modo sia all'Anima interiore dell'uomo sia alla donna reale.


Che cos'è, dunque, la lampada e che cosa fa vedere? Ri­vela che Eros è un dio. (zoooom....chiedetevi cosa sia realmente Eros...)

La donna ha la possibilità di mostra­re il valore del suo uomo con la lampada della propria co­scienza. Nelle condizioni migliori, l'uomo sa chi è e sa che c'è un dio, un essere magnifico, da qualche parte dentro di lui. 
Ma quando una donna accende la lampada e vede il dio in lui egli si sente chiamato a viverlo, a essere forte nella propria coscienza. Naturalmente, trema! 

Pure, sembra esi­gere questo riconoscimento femminile del proprio valore. Cose terribili accadono agli uomini privi della presenza del­le donne, perché sembra che sia questa presenza a ricordare a ogni uomo il meglio che porta in sé.
Durante la seconda guerra mondiale, gruppi isolati di uo­mini erano di stanza alle isole Aleutine. A causa dei proble­mi di trasporto, non era possibile alleviare la monotonia della loro situazione. Nessuna delle compagnie che di soli­to fanno spettacoli per i soldati era in grado di avvicinarli. Più della metà di questi uomini cadde preda di una forma depressiva. 
Non si radevano, non si facevano tagliare i ca­pelli, il morale era completamente a terra. Forse era perché non c'era alcuna donna, alcuna Psiche che illuminasse Eros, che ricordasse a quegli uomini il loro valore.
Quando l'uomo è un po' scoraggiato, la donna può sem­plicemente guardarlo e ripristinare in lui il senso del suo va­lore. Sembra esserci qui un peculiare punto mancante nella psicologia dell'uomo. La maggior parte degli uomini ricava le più profonde convinzioni sul proprio valore da una don­na, la moglie o la madre o, se sono molto coscienti, dalla loro stessa Anima. La donna vede il valore dell'uomo e glie­lo mostra accendendo la lampada.

(Interroghiamoci su quello che sta accadendo ora:  E' ancora valido questo paradigma? Non sta accadendo il contrario?)

Ho assistito una volta a una lite familiare, nel corso della quale una donna agitava vigorosamente un coltello. Nella lista delle lamentele sulle trasgressioni del marito, c'era il fatto che lui tornava sempre tardi dall'ufficio. L'uomo dis­se: «Non capisci che sto in ufficio per te?» La donna crollò. Per una volta, aveva udito qualche cosa. Prima, non aveva mai smesso di chiacchierare per un periodo di tempo suffi­ciente a farle udire qualche cosa. Lui disse: «Non andrei in ufficio se non fosse per te. Non mi piace l'ufficio. Lavoro per te». La vita matrimoniale acquisì improvvisamente una nuova dimensione. La donna avrebbe potuto vedere tutto questo se avesse acceso la lampada e avesse guardato.

L'uomo dipende in gran parte dalla donna per la luce del­la famiglia, così come spesso non è molto bravo a trovare da solo un senso per sé. Trova spesso la vita arida e sterile, a meno che qualcuno non le attribuisca un senso per lui. Con poche parole la donna può conferire senso a un'intera giornata di fatica, e l'uomo gliene sarà molto grato. L'uomo conosce e vuole questo; creerà piccole occasioni perché la donna possa lasciar cadere un po' di luce su di lui. Quando torna a casa e racconta gli avvenimenti della giornata, chiede che lei vi conferisca un senso. Questo fa parte della qualità di portatrice di luce della donna.

(proprio oggi notavo quanto sia difficile far comprendere la parità a dispetto dell'uguaglianza. Perchè non si capisce che essere pari significa portare l'uno verso l'altro, senza giudizi, di qualità o quantità? Credo che tutto risieda sul potere....Il termine "uguaglianza ha in sè giudizio, quantità, qualità. Il termine parità è scevro da questo. Essere nati rende "pari" ma mai uguali)

Il contatto con la lampada, o riconoscimento, è un fatto ardente. 

Spesso brucia l'uomo nella consapevolezza, il che costituisce una delle ragioni per cui l'uomo ha così tanta paura del femminile. La donna, o l'Anima, spesso conduce l'uomo a una nuova coscienza. E' quasi sempre la donna a dire: «Sediamoci e facciamo il punto della situazione». L'uomo non pronuncia spesso queste parole. E la donna, in un modo o nell'altro, la portatrice della sua evoluzio­ne. Qualche volta lei lo accende a un nuovo genere di rap­porto. L'uomo è terrorizzato da tutto questo, ma è ugual­mente terrorizzato dalla perdita di tutto questo. In effetti, gli uomini apprezzano moltissimo la donna che porta la lampada; dipendono dalla luce femminile molto più di quanto molti di essi siano disposti ad ammettere. (ma...ma..se Psiche non è Psiche bensì Afrodite, che succede? )

L'olio è una qualità femminile. Ricordo qualcuno che parlava delle vecchie lampade a stoppino alimentate da olio vegetale. L'olio d'oliva è molto femminile, e tuttavia nell'olio si frigge: il simbolo ha sempre due facce. L'olio for­nisce certo la luce, ma anche brucia Eros.
La luce femminile è squisitamente bella. Non c'è nulla di più meraviglioso della luce che la donna diffonde. Tra gli ebrei, vi è l'usanza che sia la donna ad accendere la cande­la del Sabbath, il venerdì sera. Si penserebbe che sia l'uomo a farlo, e invece è la donna. E lei che dà inizio al Sabbath, lei che fornisce la luce.
Nel mito, dunque, il simbolismo della lampada sottolinea la qualità di portatrici di luce delle donne. Nei misteri eleu­sini, le donne spesso portavano torce, che diffondevano un tipo di luce peculiarmente femminile. La torcia illumina dolcemente gli immediati dintorni; mostra il prossimo pas­so pratico da compiere. È diversa dalla luce maschile co­smica del sole che illumina un territorio così vasto da in­durre qualche volta un senso di sopraffazione e la perdita dell'esperienza immediata.



(stiamo diventando esseri completi..uomo/donna o donna/uomo..?)

D'altra parte, le donne posseggono anche il coltello che può ferire o uccidere. L'uomo è vulnerabile a entrambi gli arnesi.

Sono molto poche le donne che capiscono il bisogno che l'uomo ha di avvicinarsi alla femminilità. Questo appetito non dovrebbe essere di peso alla donna. Certo, lei non deve passare tutta la vita a 'femminilizzare', perché quando un uo­mo scopre la femminilità e stabilisce con essa un buon rap­porto, non ha più bisogno di appoggiarsi così pesantemente a una donna esterna perché la viva per lui. Ma se una donna vuole fare a un uomo il regalo più prezioso, se vuole davvero nutrire la più grande fame maschile (una fame che lui espor­rà raramente, ma che c'è sempre), allora sarà molto, molto femminile con il suo compagno, di modo che lui possa supe­rare le proprie angosce ed essere di nuovo uomo.


amare significa usare il coltello solo se necessario, dopo aver ben osservato con più luce sia possibile