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sabato 18 dicembre 2010

Mito Psiche 9: Amore o Innamoramento? "capacità" di vivere


Molti saggi, saggetti, bigliettini da baci perugina, frasi fatte, proverbi..ognuno ha sempre detto la sua sull'amore e l'innamoramento.
Ma la Verità è ben altro.
 L'Amore E'
L'Innamoramento FA

Ora viene la parte più spinosa, ma più gratificante, del mi­to. 
Dapprima Eros si punge un dito con una delle sue stesse frecce d'amore e, di conseguenza, si innamora di Psiche. 
In un certo senso, questa è l'azione che ribalta, o fissa, la situa­zione. 
Eros era stato inviato perché facesse in modo che Psiche si innamorasse di un mostro, la Morte stessa, la più orrenda delle bestie, ma lui si era punto un dito con una delle sue stesse frecce e si era innamorato di Psiche. 
Poi lei aveva tirato fuori la lampada per guardare quel ma­rito che supponeva demoniaco e invece aveva visto che era il dio dell'amore. 
Quindi, incidentalmente, anche lei si era punta un dito con una delle frecce e si era innamorata del dio dell'amore. Questa è la faccenda che più lascia perples­si: Psiche si innamora dell'amore.

La qualità dell'innamoramento è una qualità sovrumana che il genere umano non è in grado di sopportare con faci­lità. Quando ci succede, veniamo spinti come dal vento in regni che ci intossicano, a livelli di coscienza sovraordinati che, quasi senza eccezione, superano la nostra capacità di vivere. (zoom..."superano la nostra CAPACITA' di vivere" cosa significa? ...questa frase merita in Oscar per essere stata scritta...)

Dobbiamo differenziare l'amore dall'essere innamorati. Ci vuole coraggio per cercare di dare delle definizioni di que­sti due stati.

Amare un'altra persona significa vedere questa persona nella sua verità e apprezzarla per ciò che veramente è: la sua ordinarietà, le sue mancanze e la sua magnificenza. 

Quando riusciamo a fendere la nebbia delle proiezioni nel­la quale viviamo tanta parte della vita e riusciamo a guar­dare un'altra persona nella sua verità, quella persona, nella sua individualità terrena, è una creatura magnifica.
Il pro­blema è che le persone sono così tante e noi siamo talmen­te accecati dalle nostre stesse proiezioni (proiezione = gettare avanti) che raramente riu­sciamo a vedere l'altro in tutta la sua profondità e nobiltà.


Una volta tentai un esperimento: immaginai che tutte le persone della terra fossero scomparse a eccezione di me stesso e di un'unica altra persona. Uscii per vedere se sarei riuscito a trovare quell'unica rimasta, per vedere come quella persona sarebbe stata e in che modo io l'avrei accol­ta. Trovai qualcuno. 


Per un attimo, vidi il miracolo di ciò che un altro essere può essere. Ce n'era solamente uno, e quell'uno assumeva un valore infinito. Una vera e propria meraviglia.


Amare è un qualche cosa di simile. Significa vedere nel­l'altro l'esperienza terrena, pratica, immediata che l'essere umano è. 


L'amore non è illusorio


Non è vedere l'altro nel ruolo o nell'immagine particolare che abbiamo dise­gnato per lui. 
Amare significa valutare un altro per la sua personale unicità all'interno del contesto del mondo quo­tidiano. 
E' un qualche cosa che regge. E' reale. Se qualcuno mi avesse detto dieci o quindici anni fa che avrei equipara­to l'amore alla durata, ne sarei stato sconvolto e mi sarei arrabbiato, ma penso che la mezza età mi abbia portato un po' di saggezza.


Essere innamorati è un'altra questione. Essere innamorati implica l'intrusione, nel bene e nel male, di un mondo ar­chetipico, sovrapersonale o divino. 


Improvvisamente ve­diamo nell'amato un dio o una dea; attraverso di lui vedia­mo un regno dell'essere che è sovrapersonale, sovraconscio. Tutto questo è altamente esplosivo e incendiario; una follia divina. 
I poeti usano termini stravaganti per parlarne.

Se osserviamo due persone innamorate che si guardano l'un l'altra, sappiamo perfettamente che stanno guardando l'una attraverso l'altra. Ciascuno dei due è innamorato di un'idea o di un ideale o di un'emozione. Sono innamorati dell'amore. Le donne sono delle Psiche che vedono Eros nel suo ruolo di dio dell'amore piuttosto che come una per­sona che conoscono e amano per se stessa.

La cosa peggiore dell'innamoramento è che non dura. Un giorno, la visione brillante dell'amato, che prima ave­va danzato sfolgorante di bellezza davanti ai nostri occhi, ci sembra insignificante e noiosa. La qualità transpersonale che lo rendeva simile a un dio si affievolisce, mentre si ri­vela l'uomo personale, terreno, comune. Questa è una delle esperienze più tristi e dolorose della vita. 
La qualità dell'in­namoramento è la visitazione di un qualche cosa di divino. Si tratta di un dio o di una dea apparsi sulla faccia della terra che non si adattano alle dimensioni umane.
E allora, che cosa ci dice il mito? Lo stesso dio dell'amore, Eros, si punge con una delle proprie frecce e si innamora di una mortale. Apparentemente, gli dei possono reggere una situazione simile. Non è troppo difficile per il dio dell'amo­re essere assalito dall'esperienza dell'innamoramento, per­ché si tratta della sua stessa natura.
Eppure, persino gli dei dell'Olimpo temono Eros. Le sue frecce gettano nel panico persino le dee e gli dei più alti. Persino loro sono vulnerabili, e lo stesso dio dell'amore co­nosce l'esperienza dell'innamoramento.

Ma quando un semplice mortale viene improvvisamente ferito da quella freccia fatale e si innamora, allora la faccen­da si fa molto grave. 


E' stato detto che il temerario sguardo che Psiche volge a Eros costituisce il primo episodio della sto­ria in cui un mortale ha potuto incontrare un dio o una dea senza soccombere. Prima di questa occasione, quando un mortale entrava in contatto con un dio o una dea veniva in­cenerito, cancellato, dalla forza di quell'incontro.
In termini psicologici, si può dire che prima di quel punto dell'evoluzione del genere umano, se una donna o un uomo toccavano un archetipo, venivano semplicemente cancel­lati. Non sopravvivevano. Il mito ci dice che, da allora e in determinate circostanze, quando un semplice mortale at­traversa un'esperienza archetipica può sopravvivere, ma ne sarà radicalmente cambiato. Penso che sia questo ciò che la nostra storia ci insegna. Un mortale tocca qualche cosa che ha dimensioni sovramortali e vive per raccontare l'accaduto. In questo contesto, possiamo vedere che cosa significhi essere toccati dalle frecce del dio dell'innamora­mento. Possiamo vedere l'enormità dell'avvenimento, la trasposizione dei livelli implicati. Questa è l'esperienza in­credibile ed esplosiva dell'innamoramento.
(il punto successivo è: amare riuscendo a restare perennemente innamorati. Come si fa?)

Gli orientali non si 'innamorano' allo stesso modo degli occidentali. Essi si avvicinano ai loro rapporti in maniera tranquilla, non drammatica, non toccati dalle frecce di Eros. I matrimoni vengono combinati. Tradizionalmente, l'uomo non vede la sua sposa fino a quando la cerimonia è finita ed essa si toglie i veli. Allora lui la conduce a casa e segue il modello prescritto di comportamento dello sposo nei confronti della sposa.
I miei sentimenti occidentali sono stati toccati l'altro giorno quando ho ricevuto la lettera di un indiano di ven­tanni che non conosco bene ma con il quale ho instaurato un rapporto epistolare. Aveva deciso che sarei stato il ma­rito perfetto per la sorella di diciotto anni e voleva sapere se io fossi d'accordo. La dote e le altre questioni pratiche po­tevano essere discusse. Sono rimasto con la testa tra le nu­vole per tutto il giorno. 
Senza sforzo alcuno, persino senza innamorarmi, potevo avere una moglie, e per di più di di­ciotto anni.
Poi gli ho scritto dicendogli che non era possibile, che ero decisamente troppo vecchio per sua sorella.

La nostra storia narra di una donna toccata da un qualche cosa di decisamente eccessivo per la comune esperienza umana. Il resto del mito ci dice come sopravvivere a que­sto tocco divino.

Un tempo, l'esperienza dell'essere toccati dagli dei aveva luogo in un contesto religioso, ma noi uomini moderni ab­biamo assegnato alla religione un ruolo relativamente mar­ginale nella nostra vita. La prendiamo alla leggera e, ben che vada, la circoscriviamo alla domenica. Raramente si sente di qualcuno che è stato profondamente toccato da un'esperienza religiosa. La religione si è intiepidita nella cultura occidentale e noi pensiamo di essere troppo saggi per farle spazio. 
Anche coloro che sono rimasti attaccati alle forme religiose tradizionali non se ne sentono granché mossi; la loro vita spirituale, interiore, non ne viene nutrita in modo profondo, sconvolgente.
Io ritengo che questo incontro profondo, l'essere toccati dallo splendore o dalla forza di un dio, sia caduto sul nostro particolare concetto occidentale di innamoramento. ci sentiamo toccati.


(qui vorrei fare un inciso personale.  Non esiste un numero limitate di persone di cui mi posso innamorare, nè che poi conseguentemente amo. Se m'innamoro poi amo. Parrà strano, ma succede. Perchè succede? Perchè non disgiungo MAI l'esperienza spirituale da quella terrena. Ogni persona che incontro è una parte del tutto e lo vedo nella sua magnificienza e nei suoi limiti. Niente d'illusorio, tutto reale..)

Il mito racconta che Psiche accende la lampada e vede che, in effetti, è sposata con un dio. Si punge un dito con una delle frecce di lui e si innamora dell'amore. E, immediatamente dopo, lo perde. Quanto spesso accade alle persone che vedo­no la qualità divina di un altro, quando si innamorano!

Amare significa avvicinarsi a un'altra persona, avere dei legami, fondersi con l'altro. Innamorarsi di una persona si­gnifica guardare diritto attraverso di essa e quindi perderla irrevocabilmente. Questa è una cattiva notizia. Non ci pia­ce e raramente ne comprendiamo il significato.


(zoom..perderla..perchè perdela? Perchè nulla di ciò che è magnifico può appartenere a nessuno. La magnificienza non aoppartiene neanche a chi la incarna. La magnificienza è la vita che si esprime al suo più alto livello. Ma la vita non è un'oggetto fermo, la vita scorre proprio per sua intrinseca natura. Non può essere di nessuno)

Quando guardiamo alla qualità divina di un'altra perso­na, guardiamo le dimensioni magnifiche, transpersonali che essa incorpora. E questo, per definizione, pone quella persona al di fuori della portata del nostro regno quotidia­no, a meno che abbiamo scoperto la nostra stessa qualità divina, il che è raro. 
(qual'è la vostra qualità divina?)


Ecco perché innamorarsi fa tanto ma­le. Sembra esserci un paradosso intrinseco per cui nello stesso momento in cui ci si innamora di qualcuno bisogna riconoscerne l'assoluta unicità e, quindi, bisogna ricono­scerlo come essere separato. In una situazione simile, sia­mo dolorosamente consapevoli della distanza, della separa­zione e dell'impossibilità di rapporto. E, inoltre, c'è il terri­bile senso di inferiorità che prova la donna quando accende la lampada e scopre che il compagno che presume­va fosse un semplice mortale è un dio. Si tratta di un sen­timento solitario e devastante.





Eppure, l'atto stesso di essere fatti a pezzi dall'innamora­mento contiene la possibilità della soluzione. Se si hanno la forza e il coraggio necessari, da questo smembramento può derivare una nuova coscienza della propria unicità e valore. Si tratta di una strada difficile da percorrere, ma for­se per alcuni temperamenti non c'è altra strada.
Il modo migliore per risolvere il problema consiste nel rimanere assolutamente immobili, come, alla fine, fa Psi­che. Dopo aver superato i propri sentimenti suicidi, si sie­de e rimane ferma. Quando si è perso il senno, quando si è perso il lume della ragione, è meglio rimanere immobili.


(e qui mi rivolgo alle donne: restate immobili. Siate ferme, non agite e sopratutto..tacete! anche con voi stesse. Imparate a vivere il dolore, immergetevici dentro, e restate ferme)


Per questo detesto gli "abbracci" con tutta me stessa. L'abbraccio nella gioia ma MAI nel dolore. Il dolore deve trovarci soli e deve agire in noi da soli: solo così può trasformare.

Non è possibile dire questo ai giovani. Si tratta di una saggezza cui si può prestare orecchio soltanto in anni più maturi.
Una volta dovetti mediare una situazione molto imbaraz­zante in cui due persone che si erano innamorate l'una del­l'altra stavano creando danni considerevoli alla piccola co­munità in cui vivevano. Il mio consiglio fu di lasciarli stare, di non imporre loro alcuna proibizione ed essi avrebbero trovato da soli un equilibrio. E lo trovarono. Questo è in­trinseco alla situazione dell'innamoramento. Essa deve ave­re le sue barriere e la sua tragedia. La tragedia sta nell'avere una visione che non si può raggiungere. I filosofi e i poeti ci dicono che l'innamoramento è una condizione tragica. Co­me dicevo prima, amare qualcuno significa calore, significa avvicinamento, ed è una condizione gestibile. Ma l'inna­morarsi, il vedere la divinità di un altro, non è umanamen­te gestibile.

L'innamoramento può trasformarsi in amore. È quello che succede nei matrimoni riusciti. Il matrimonio comin­cia con l'innamoramento e, se va bene, compie il passo suc­cessivo verso l'amore. Ed è proprio questo, in un certo sen­so, ciò che dice la nostra storia. Essa comincia come la sto­ria di una collisione tra una mortale e un dio, tra due livelli dell'essere, tra l'umanità e una qualità sovrumana. Noi ci struggiamo per quella qualità sovrumana e poi ci meravi­gliamo perché non riusciamo a mantenerla. Non è umana­mente possibile mantenere la qualità dell'innamoramento. 
Ricordo un cartone animato di James Thurber in cui c'è una coppia di mezza età che litiga e lui grida a lei: «Be­ne, chi ha tolto la magia dal nostro matrimonio?»
Quando veniamo toccati da un dio o da una dea che cosa dobbiamo fare? La nostra cultura lascia questa domanda in gran parte senza risposta. La maggior parte della gente sof­fre e regge lo svanire della visione divina della persona amata, si adagia nella monotonia della mezza età e pensa che, dopo tutto, la visione un tempo avuta di una qualità sovrumana sia stata un po' folle. L'alternativa femminile a questa fine dell'innamoramento, così deprimente e da sconfitti, ci occuperà per il resto della storia.

Psiche si ricollega alla propria femminilità elementare. Chiede l'aiuto di Afrodite, la quale le assegna una serie di compiti da portare a termine (che rappresentano fasi evolutive del suo sviluppo interiore), alla fine dei quali vie­ne convocata sull'Olimpo e resa dea.
Psiche sposa Eros e mette al mondo il suo bambino. Que­sta è la risposta più nobile possibile alla domanda di fronte alla quale la nostra società si trova più perplessa.
Essere toccati da un'esperienza divina significa aprirsi per imparare una coscienza divina, divina nel senso greco, olimpico. I Greci descrivevano gli archetipi come dei, il che era molto più poetico e adeguato che non i nostri ter­mini moderni. 


È tanto bello quanto intelligente parlare di dio e dea, di Eros e Psiche, che sono i grandi archetipi che operano in noi quando siamo innamorati. Quando questa qualità ci ha toccati, non possiamo più ritornare a modali­tà semplici, superficiali, inconsce. Quasi sempre la persona di oggi avverte questo tocco divino quando si innamora di un'altra persona. La storia ci insegna che sono molti i modi in cui gli uomini sono stati toccati da un qualche cosa di più grande di loro, ma per i nostri tempi, Eros rappresenta l'intermediario principale tra noi e la forza di Dio.


Oggi, tra voi, c'è qualcuno disposto ad innamorarsi? 
Disposto al dolore che ne consegue?
Disposto ad amare in primis se stesso nella sua magnificienza e nei suoi limiti?
io ogni istante

1 commento:

  1. il punto é proprio questo..Psiche é collegata con il tutto, Afrodite si sente separata. Psiche sa che quando si porta fuori in realtà é sempre dentro perché non c'é dentro e fuori per lei, ma tutto E' e lei é il Tutto. Il suo dolore non la mette in disparte ma soltanto in stand bay: come una mano ferita che sa di essere comunque quel corpo e non "altro" da quella persona, anche se sente dolore. Il dolore o é universale, cosmico, o non é affatto. L'innamoramento che non diventa amore é la mano ferita che smette di sentirsi mano perché é ferita: potrebbe negare per sempre di essere quel corpo, quella persona, come succede quando l'innamoramento si trasforma in estraneità? L'esperienza del sacro attraverso l'altro é panteistica, e quando non me ne sono accorta, ho vissuto l'altro come un dio ma non ho retto quando l'ho "visto" nel suo essere tremendamente umano. Ci facciamo orfani, come il bimbo che scopre che mamma non é supergirl, papà non é superman. Non vogliamo vedere, non vogliamo credere che ci abbia ingannato. Non lo accettiamo nella sua incompleta umana natura perché temiamo di vedere attraverso di lui che non siamo divini? Il punto é questo, separiamo vita spirituale e vita terrena come fossero due diversi stadi, due diverse porte dalle quali entriamo e usciamo ..come andare a Messa la domenica, insomma...Lì, la domenica, quel pane é corpo di Cristo..altrove é solo pane. La consacrazione ci porta di fronte al sacro e questa consacrazione avviene attraverso "altro"chiamato apposta Ministro di Dio. La persona di cui ci innamoriamo ha il ruolo di ministro della nostra deità e quando non siamo più innamorati perde inevitabilmente questo ruolo, quindi noi perdiamo la nostra natura divina e entriamo nel dolore di essere umani, troppo umani. Questo perché ignoriamo di essere il Tutto, di essere dio insieme al Tutto..

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