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martedì 13 dicembre 2011

sì, non ho paura


Nulla di meglio della nuova canzone della Mannoia, per cominciare questa chiaccherata sulla follia in cui crediamo di essere caduti...


Sì, io non ho paura.
Profeta da una vita, nell'amore che mi scorre dentro, ho avuto 4 anni di blackout e non sentivo più nulla, non sapevo più nulla. Il mio corpo, da sempre mia grande antenna era muto e non mi diceva più cosa sarebbe successo della vita, non solo della mia, ma della vita in generale.


Ottusa. Non avevo paura ma ero ottusa.


E quindi studiavo, m'informavo, cercavo di capire, mi ammazzavo di lavoro. Poi ho rinunciato a capire. Mi sono detta che non era alla mia portata e che potevo solo registrare le informazioni.


Fino a ieri, anzi fino a domenica. Poi il quadro si è dipinto davanti ai miei occhi e ora so, con certezza, come andrà.


Reggetevi forte, non sarà un discorsetto facile, non ci crederete, mi taccerete di stupidità, menopausata, follia, direte che sono fascista, o comunista, o razzista, o tutto quello che di "isto" può esserci. Non importa: mio compito è dirvelo e poi fatene ciò che volete.


Dunque, siamo nella 1° fase di un progetto che durerà parecchio, non so quanto, 1000 anni?500?100? non lo so, posso solo vedere l'accelerazione attuale e basarmi su quella, il resto non mi è dato.


Il progetto, non umano, ma naturale, è molto semplice. Ordine e armonia "naturale" anche per gli umani affinchè possano integrarsi e far parte della natura.


Per poter arrivare a questo dovremo passare attraverso degli stadi molto dolorosi perchè distruggeranno ciò che non ci fa essere armonici con il resto di ciò che vive.


Ne riparleremo domani ed analizzeremo le fasi ipotetiche una per una....intanto digeritevi questo:


L'intero processo porterà l'umano a far parte della natura vivente


1° fase: le illusioni ed i sogni saranno ABOLITI


:-)

martedì 8 novembre 2011

BCE - Alfano -TUTTI GLI UOMINI - GOLDMAN SACHS - Federal Reserve


BCE - Alfano -TUTTI GLI UOMINI - GOLDMAN SACHS - Federal Reserve - Bildenberg


Dirigenti della Goldman Sachs passati alla funzione pubblica [modifica]


Link a Joseph Cassano per capire perchè paghiamo noi, e poi molto altro..informatevi, accidenti! Siamo accerchiati direi, no? La capite la dinamica? Noi siamo una base economica da risucchiare verso l'alto (loro).

elisa

martedì 22 febbraio 2011

Mito di Parsifal 15 - CHI serve il Graal?


Anche con Parsifal siamo arrivati alla fine.
La maturità che dovrebbe essere prerogativa umana, è finalmente arrivata. E noi siamo maturi? Lascerò che questa prima parte del mito vi risuoni dentro senza commenti, se non questo cappello. Quanto siamo res-ponsabili di ciò che sta accadendo?

Parsifal passa molti anni (la maggior parte delle leggende dice venti) nelle sue avventure cavalleresche.

In lui si in­sinua un'amarezza sempre maggiore; è sempre più disillu­so; si allontana sempre di più dalla sua amata Bianche Fleur; dimentica perché brandisce la spada nel suo viaggio cavalleresco. Procede con sempre minor capacità di capire, con sempre minor gioia.

Questi sono gli anni sterili della mezza età dell'uomo, che sa sempre meno perché sta facendo ciò che fa e tende a dare una risposta evasiva quando viene interrogato sul senso della sua vita.

Parsifal incontra un gruppo di pellegrini cenciosi che va­gano lungo la strada. Gli dicono: «Come mai cavalchi in piena armatura oggi, giorno della morte di nostro Signo­re? Non sai che è il venerdì santo? Vieni con noi dall'ere­mita della foresta, confessa i tuoi peccati e chiedi l'assolu­zione per prepararti alla Pasqua».

Improvvisamente Parsifal si risveglia dalle proprie oscure fantasticherie e, più per inerzia che per ispirazione, si unisce ai pellegrini.

L'eremita è quella parte fortemente introversa della nostra natura che ha aspettato e accumulato energia in un angolo remoto nell'attesa di questo momento.
Di solito, nella pri­ma parte della vita domina giustamente l'estroversione. Ma quando l'estroversione ha fatto il suo corso e ha condotto una persona lungo la prima, importante, metà della vita, allora bisogna consultare l'eremita che c'è nel profondo sul­la prossima mossa.

Nella nostra cultura facciamo questo molto male; poche persone sanno come estrarre l'ingegno dalla loro natura introversa per il passo successivo.


Succe­de spesso che una persona del nostro tempo sia costretta a entrare nella propria introversione da una malattia, da un incidente o da un qualche altro sintomo paralizzante. L'ere­mita è una figura nobile e vi farà del bene se riuscirete ad accostarvi a lui con onore e dignità.
Non c'è molta dignità nel farsi trascinare in questo regno da un incidente o da una malattia; ma in un modo o nell'altro dovrete entrarvi a un certo punto, a metà circa della vostra vita, dignità o non dignità.
Per rendere giustizia all'eremita, dovremo parlare almeno brevemente di coloro la cui natura introversa è tanto forte da costituire il tratto dominante della loro personalità.
Que­ste poche persone, nate eremite (anime fortemente intro­verse), devono rimanere nella foresta (simbolicamente par­lando) in solitudine, accumulando energia così da poter ser­vire il genere umano nel momento in cui la loro qualità diventa cruciale e del più alto valore.
Ci sono poche vitto­rie sul Cavaliere Rosso per queste persone, che poco sanno delle foglie di alloro della vittoria. Le persone di questo tipo ricevono molto poco incoraggiamento e molto poco rinfor­zo ai giorni nostri e spesso conducono una vita solitaria.
Ma viene il momento in cui il loro genio diventa assolutamente necessario per compiere una transizione verso un altro sta­dio della vita, la loro o quella di qualcuno del loro ambien­te.
Il solo fatto di essere consapevoli di questa legittimità rappresenta per loro una salvaguardia. Siate benevoli con il vostro eremita interiore o con la persona nata eremita nel­la vostra cerchia di amici.
Se vostro figlio è un eremita nato, non spingetelo verso lotte con il Cavaliere Rosso ma lascia­te che trovi la propria strada verso la foresta.
Dall'eremita, Parsifal vive un'esperienza molto simile a quella che ha già vissuto con la Fanciulla Orgogliosa.

Pri­ma che possa profferire parola, l'eremita, grazie alla sua chiaroveggenza, gli elenca la lunga lista delle sue colpe e dei suoi fallimenti. Ancora una volta, la colpa peggiore è quella di non avere posto la domanda risanatrice al castel­lo del Graal.

Ben presto l'eremita si addolcisce e conduce Parsifal sulla strada dicendogli che, dopo un breve tratto, dovrà girare a sinistra e attraversare il ponte levatoio.
Il castello del Graal è sempre alla stessa distanza, ma è nell'adolescenza o a metà della vita che, di solito, più facilmente apre le sue porte.



A questo punto, il grande poema francese di Crétien fi­nisce! Si dice che l'autore sia stato colto dalla morte; si ipo­tizza anche che parte del manoscritto sia andata perduta.

Io credo che l'ipotesi più plausibile sia che l'autore si sia fer­mato perché non aveva nient'altro da aggiungere.
La gran­de storia dell'inconscio collettivo, a quell'epoca, era arriva­ta a questo punto della sua evoluzione e l'autore ha avuto l'umiltà di deporre la penna quando non aveva altro da di­re.

Penso che il mito, in senso collettivo, sia avanzato di poco da allora ai giorni nostri; è una storia che si svolge dentro di noi, che non è finita, che è piena di forza e che chiede di essere proseguita.

Se desiderate un vero compito cavalleresco, riprendete dentro di voi la storia dove è rima­sta incompiuta e portatela avanti ( a questo proposito, a seguire questa serie maschile/femminile vi porterò un altro libro, un pezzo per volta) : ogni uomo è Parsifal e il viaggio è il suo proprio viaggio.

Altri autori hanno ripreso la storia e cercato di portarla a termine. Possiamo affidarci a una di queste continuazioni e accompagnare Parsifal nella sua seconda visita al castello del Graal.

Il castello del Graal è sempre in fondo alla strada e dopo una svolta a sinistra.
Chiunque sia abbastanza umile e di buona volontà può trovare quel castello interiore.
Ven- t'anni di ricerca senza frutto hanno distrutto l'arroganza nel cuore di Parsifal e, adesso, egli è pronto per il suo ca­stello.

Appena in fondo alla strada svolta a sinistra e attraversa il ponte levatoio che si chiuderà dandoti appena il tempo di passare: è sempre pericoloso compiere la transizione di li­vello necessaria per entrare nel castello del Graal.

Parsifal trova la stessa processione della prima volta: una fanciulla porta la spada che trafisse il costato di Cristo, mentre un'altra fanciulla porta la patena dalla quale fu ser­vita l'Ultima Cena e un'altra fanciulla ancora porta il Graal.
Il Re Pescatore ferito geme sul suo giaciglio, esausto dalla sofferenza, tra la vita e la morte.

Ora, meraviglia delle meraviglie, con vent'anni di matu­rità ed esperienza alle spalle, Parsifal formula la domanda che costituisce il suo maggiore contributo all'umanità:

Chi serve il Graal?

Che strana domanda! Quasi incomprensibile alle orec­chie della nostra epoca.
Nella sua essenza, la domanda è la più profonda che si possa porre: dov'è il centro di gravità della personalità umana, oppure: dov'è il centro del senso di una vita umana? Se formulassimo oggi questa domanda in un linguaggio moderno, la maggior parte delle persone risponderebbe:Io sono il centro di gravità;
Io mi impegno a migliorare la mia vita;
Io lavoro per raggiungere i miei obiettivi;
Io aumento il mio senso di giustizia;
Io sto facen­do qualcosa di me stesso

oppure, risposta più comune di tutte:

Io cerco la felicità,

il che equivale a dire che voglio che il Graal serva me.

Chiediamo a questa grande cornuco­pia della natura, a questa grande effusione femminile di tut­ta la materia del mondo (l'aria, il mare, gli animali, il pe­trolio, le foreste e tutto ciò che il mondo produce), noi chiediamo che tutto questo serva noi.

Ma non appena la domanda è posta, la risposta arriva, riverberando attraver­so i saloni del castello del Graal: il Graal serve il Re del Graal.

Anche la risposta è enigmatica.

 Tradotta, significa che la vita serve quello che un cristiano chiamerebbe Dio, che Jung ha chiamato Sé e che noi definiamo con tut­ti i molteplici termini che abbiamo elaborato per indicare ciò che è più grande di noi.


E anche possibile usare un altro linguaggio, meno poetico ma forse più facile. C.G. Jung parla del processo vitale co­me della ricollocazione del centro di gravità della persona­lità dall'Io al Sé.

Vede in questo il lavoro esistenziale deb l'uomo e il centro del significato di ogni impresa umana.

Quando Parsifal capisce di non essere il centro dell'univer­so (e neppure del suo piccolo regno) è libero dall'alienazio­ne e il Graal non gli è più vietato.

Benché possa andare e venire dal castello del Graal per il resto della sua vita, d'ora in poi esso non gli sarà mai più estraneo.


Ancora più strabiliante, il Re Pescatore si alza, guarito, nella gioia e nell'esultanza.

 Il miracolo è avvenuto e la leg­genda della sua guarigione compiuta.

Nell'opera di Richard Wagner, Parsifal, il Re Pescatore ferito si alza a questo pun­to e canta una mirabile canzone di esultanza e possenza e forza: è il momento culminante della storia!

Ora, chi è il Re del Graal, che fino a questo momento non avevamo ancora sentito menzionare? E il vero re del regno e vive al centro del castello del Graal. Egli vive sol­tanto dell'Ostia e del Vino del Graal.
E' una figura appena camuffata di Dio, la rappresentazione terrena del Divino o, in termini junghiani, il Sé.

Certo, è avvilente sapere che veniamo a conoscenza di questo centro solamente quando siamo pronti e quando abbiamo compiuto il nostro dovere di formulare una domanda coerente.

Oggetto della vita non è la felicità, ma il servizio di Dio o del Graal.
Tutte le ricerche del Graal portano a servire Dio.
Se comprendiamo questo e abbandoniamo la convinzione idiota che il senso della vita stia nella felicità personale, allora troviamo questa qualità elusiva immediatamente a portata di mano.

Lo stesso motivo compare in un mito contemporaneo,II signore degli anelli, di Joan R. R. Tolkien: il potere deve es­sere tolto a coloro che lo sfrutterebbero. Nel mito del Graal, la fonte del potere viene conferita al rappresentante di Dio. Nel mito di Tolkien, l'anello del potere viene sot­tratto alle mani malvage che lo userebbero per distruggere il mondo e viene restituito alla terra dalla quale è venuto.
I miti antichi parlavano spesso della scoperta del potere e del suo affidamento a mani umane.
I miti moderni parlano del­la restituzione della fonte del potere alla terra o alle Mani di Dio prima che l'umanità se ne serva per distruggere se stessa.

Un dettaglio della storia merita un'osservazione speciale: Parsifal deve solo porre la domanda, non occorre che ri­sponda.
Quando ci sentiamo scoraggiati e convinti che non avremo mai la capacità di trovare la risposta a degli enigmi insolubili, ricordiamo che, benché sia dovere del­l'Io formulare una domanda precisa, all'Io non viene ri­chiesto di dare una risposta.
Domandare nel modo giusto corrisponde praticamente a rispondere.
La gioia esplode al castello del Graal. Il Graal viene espo­sto e fornisce il suo cibo a tutti, compreso il Re Pescatore che ora è guarito, e c'è perfetta gioia e pace e benessere.

Quale dilemma! Se chiedete al Graal di darvi la felicità, quella domanda preclude la felicità.

 Ma se servite il Graal e il Re del Graal in modo adeguato scoprite che ciò che ac­cade e la felicità sono la stessa cosa. Un gioco di parole di­venta la definizione dell'illuminazione


Un tema identico ma espresso in un linguaggio molto di­verso si trova nelle 'Dieci figure del pascolo del bove' del buddismo Zen.
Si tratta di una serie di dieci figure dipinte da un artista per illustrare i passi verso l'illuminazione. Nel­la prima figura, il giovane eroe cerca il bove, la propria na­tura interiore; nella seconda vede l'orma del bove; nella terza vede il bove. La serie prosegue fino alla nona figura, nella quale l'eroe ammansisce il bove, stabilisce con lui una relazione pacifica e siede tranquillo a contemplare la scena.

 La domanda sorge a questo punto: «Osserva i ruscel­li che scorrono, nessuno sa verso dove; e i fiori di rosso vi­vo: per chi sono?» L'autore, Mokusen Miyuki, riflette che queste parole possono essere letteralmente tradotte in: «Il ruscello scorre spontaneamente e il fiore è spontaneamente rosso».

 Il termine cinese spontaneamente, viene usato nel composto nel pensiero taoista.
 Può significare 'naturalezza', un'occorrenza della spontaneità creativa del­la natura all'interno e all'esterno. In altre parole,può essere psicologicamente inteso come la realtà vivente dell'autorealizzazione o come la pressione creativa del Sé che si manifesta nella natura.

La serie delle figure culmina nella decima, dove l'eroe, adesso perfettamente in pace, cammina senza essere nota­to per le strade del villaggio.
Non c'è nulla di straordinario in lui ora, a eccezione degli alberi che esplodono nella fio­ritura quando lui gli passa accanto.
Questo interrogativo sul significato del ruscello o del ros­so della rosa che proviene da una fonte tanto lontana da noi qual è il buddismo Zen accresce la nostra comprensio­ne di questa ricerca.

Un francese, lo storico e uomo politico Alexis de Toc­queville, andò in America più di un secolo fa e fece alcune osservazioni acute sullo stile di vita degli americani. Disse che c'è un'idea fuorviarne all'inizio della loro Costituzio­ne: la ricerca della felicità. Non si può cercare la felicità; se lo si fa, la si offusca. Se procediamo nel compito umano della vita, la ricollocazione del centro di gravità della per­sonalità in un qualche cosa di più grande che sta al di fuori di noi, la felicità sarà il risultato.

In quest'anno del Signore(1989, anno in cui l'autore di questi due libretti che vi ho propinato per 2 mesi, Robert A.Johnson, stesso anno in cui io abbandonato Milano per trasferirmi nel mio "eremo" nel bosco) stiamo appena iniziando a for­mulare la domanda del Graal: abbiamo il diritto di abbat­tere gli alberi, impoverire il suolo e uccidere tutti i pellica­ni? La risposta sta cominciando a farsi chiara; le prime, stentate sillabe della domanda si fanno udibili. Se ascoltia­mo questa antica storia di un Folle Innocente che entra stordito nel castello del Graal per la prima volta e si guada­gna la strada verso lo stesso castello per la seconda volta, troviamo alcuni saggi consigli su come procedere lungo la via di oggi.

Oggi, 22/02/2011, in questo momento (ore 16,30) i rubinetti del gas libico sono stati chiusi, il mondo seduto in poltrona guarda i video su un mondo che fino a stamattina appariva lontano ed eroticamente divertente e che ora, crollando ci porta dietro con lui...


Voi..asservite il Graal? io sì, il mio cuore è calmo

lunedì 14 febbraio 2011

mito di Psiche 14 -Ultimo compito: NO creativo ovvero ESSERE VERA DONNA



Ultimo compito: NO creativo ovvero ESSERE VERA DONNA


Siamo arrivati alla fine, miei cari......

Ma questa non è una commedia agro-dolce, ma la metafora della vita, ed arrivare alla fine significa scoprire come passare di livello. 
Ormai i videogiochi ci hanno abituato a capire cosa significa: se vuoi passare di livello devi affrontare la prova più difficile.

Il NO è per la parte femminile la prova più difficile in assoluto e va affrontata riunendo tutte le nostre parti potenti e mettendole al servizio di una forza che ci oltrepassa, con fede assoluta che questo è NECESSARIO.

Pochi di voi saranno in grado di farlo


Il quarto compito di Psiche è senza dubbio il più interessan­te di tutti, ma poche sono le donne che raggiungono questo livello di sviluppo, perché esso si situa al di fuori dello spet­tro di esperienza della maggior parte delle persone.

Ogni volta che mi accingo a parlare di questo quarto compito, sento che la solidità della razionalità e della ragione mi si dissolve sotto i piedi.
Pure, bisogna sapere queste cose se si è chiamati a compiere l'ultimo dei compiti di Psiche.


Afrodite vuole ora che Psiche vada nel mondo infero e ottenga dalle mani di Persefone (che laggiù
regna) un pic­colo scrigno contenente l'unguento di bellezza (cos'è la bellezza?) che essa usa.

 Ancora una volta Psiche crolla. Questa volta l'elemento che le viene in aiuto non è un essere vivente e neppure un fenomeno naturale, bensì una torre, che le fornisce le istruzioni per il suo viaggio sotterraneo

.

Psiche dovrà tenere in bocca due monete e nelle mani due pezzi di pane d'orzo. 
Dovrà rifiutarsi di aiutare un uo­mo claudicante che conduce un asino e che le chiederà di raccogliere 
dei ramoscelli. 
Dovrà pagare il traghettatore del fiume Stige con una delle monete. 
Dovrà rifiutare la mano brancolante di un moribondo che affiora dall'ac­qua.
Dovrà rifiutarsi di aiutare tre donne che staranno tes­sendo i fili del destino. 
Dovrà gettare un pezzo di pane d'or­zo a Cerbero, il cane a tre teste che custodisce le porte del­l'inferno, e dovrà superare l'ingresso mentre le teste del cane staranno disputandosi il tozzo di pane. 
Dovrà rifiuta­re di mangiare qualunque cosa che non sia il cibo più sem­plice disponibile all'inferno. 
E quindi dovrà ripetere l'inte­ro processo all'inverso, quando intraprenderà la strada del ritorno.

La donna non potrà affrontare il quarto compito se non avrà raccolto tutta la forza necessaria dai primi tre.

Che significato hanno questi doveri se non tradire la sua natura terrena, negare l'armonia che vorrebbe, permettersi di vedere se stessa nella sua parte Caina?
Perchè farlo? Guardiamo..


Quasi inevitabilmente avrà bisogno di un maestro o di una gui­da, e se non è dotata di forza e coraggio sarà meglio che non si accosti neppure a questa impresa.

 Il rimanere inca­gliati nel corso di un viaggio nell'Oltretomba costituisce un'esperienza tremenda. 

Se non si posseggono le monete, il pane d'orzo e, cosa ancora più importante, le necessarie informazioni fornite dalla torre, allora è meglio non intra­prendere il viaggio.

Che vuol dire? Cosa sono le monete, il pane d'orzo e le "informazioni"?


Prima di tutto si trova una TORRE, una costruzione umana. La torre è maschile, è un costrutto, una convenzione, un insieme di regole, una tradizione, un sistema.

 Il cristianesi­mo rappresenta una torre del genere, ed è una delle migliori per noi occidentali.

Esempi eccellenti di torri di questo ge­nere sono gli esercizi spirituali di Ignazio da Loyola, le vite dei santi, l'anno liturgico e gli eremi cristiani.
Al di là della nostra cultura esistono molti sistemi quali lo yoga, il misti­cismo sufi, lo zen e altre torri orientali.
In teoria non impor­ta quale torre si scelga, benché, in generale, sia meglio che gli occidentali rimangano all'interno delle tradizioni della loro coscienza occidentale.
Il nostro inconscio collettivo ha dei modelli che si adattano meglio ai nostri modi occi­dentali.




La prima cosa che psiche deve imparare è frenare la sua generosità; imparare a dire di no allo zoppo e al moribondo (ma solamente a questo stadio della sua crescita).

 Una vol­ta ho vissuto la profonda esperienza di aiutare una donna molto intelligente in questo quarto stadio.
Essa rischiò di perdersi proprio riguardo alla questione della generosità femminile, al fatto di dover dire di no a qualcuno.
Dovetti spesso farlo io per lei, quando non sopportava di farlo da sé. Qualcuno le telefonava, le chiedeva qualche cosa e lei non riusciva a rifiutare. Io dovevo essere la sua torre e rifiutare al posto suo.

 Tutto questo continuò per due anni. Si tratta di un momento difficile per una donna. Mentre esegue il compito, un vecchio storpio lascia cadere alcuni ramoscel­li e le chiede di aiutarlo a rimetterli sul dorso dell'asino e lei deve dire di no; un uomo morente le tende la mano e lei deve dire di no.


La gentilezza e la capacità di dare sono virtù molto curio­se. L'atteggiamento occidentale nei confronti della genero­sità non ci concede praticamente alternative, se non quella di essere gentili. Quando mi trovavo in India, scoprii un atteggiamento diverso riguardo alla gentilezza. Quando pensavo di essere gentile verso un mendicate, per esem­pio, il mio amico indiano mi diceva: «Robert, perché inter­ferisci con la vita degli altri?» Alla fine trovai una risposta a questa domanda. Gli dissi: «Perché ne ho bisogno». «Be­ne,» rispose lui, «se è così, allora va bene.»
Una parabola cinese parla del maschile e del femminile nel modo seguente.

(ZOOOOOOOOOOMMMM!!!!imparatevela a memoria please!)

Un uomo sta, all'alba, sulla cima del monte e allunga le mani, con i palmi verso l'alto, per pro­nunciare il sì creativo.
Una donna sta, all'alba, sulla cima del monte e allunga le mani, con i palmi verso il basso, per pronunciare il no creativo.

Secondo il pensiero cine­se, questo esprime il fatto che il maschile e il femminile portano ciascuno metà della realtà (lo yang e lo yin, in ter­mini cinesi) e si complementano in maniera perfetta.

Cia­scuno ha bisogno dell'altro; ciascuno nutre l'altro.

 È con il no creativo che abbiamo a che fare qui, e si tratta di una questione non indifferente. Il no quale creazione è una pos­sibilità che nella cultura occidentale è andata totalmente perduta. La donna può 
arrivare a un no creativo, limitan­te, che dà forma, se compie questa parte del viaggio di Psi­che.


Questo vale solamente se la donna si trova in questo quarto stadio, solamente se ha portato a termine gli altri compiti.

Se non ha imparato a essere generosa, questo com­pito sarà per lei veleno. 

Soltanto in determinati momenti il no creativo diventa necessario. Dopo, può essere abbando­nato e si può ritornare generosi.


Nella nostra società non incontriamo le mani ossute dei mendicanti, ma le richieste del nostro tempo.

Il telefono squilla e dall'altro capo del filo ci viene chiesto di fare una serie di cose. Il campanello suona e qualcuno ci chie­de un obolo per la tale organizzazione o la tal opera di ca­rità. Io sono arrivato a decidere che questo non era il modo in cui volevo donare il mio denaro, ma mi ci è voluto mol­to coraggio per dire alla persona alla porta: «No, preferisco dare i miei soldi in altro modo».


Nella gran parte delle società primitive, se si fa qualche cosa per qualcuno, si rimane debitori nei confronti di quel­la persona. In Africa, se qualcuno salva la vita a un uomo e quell'uomo commette un crimine, colui che lo ha salvato è responsabile del crimine. In India, il mio amico non smet­teva di farmi domande sulla mia gentilezza nei confronti degli altri. Diceva per esempio: «Perché fai questo?» Io bal­bettavo risposte quali: «Beh, è una buona cosa», oppure: «Mi ha toccato il cuore». E lui rispondeva: «Non è una buona ragione».

Il mito ci dice che, a questo punto della vita, la donna non deve fare il bene in maniera indiscriminata. In partico­lare, è proibito il bene collettivo. Il motivo sta nel fatto che il quarto compito richiede tutta l'energia e tutte le risorse di una persona.

Idealmente, la donna attraversa i suoi compiti individua­tivi uno per volta, uno stadio alla volta, e incorpora da un compito portato a termine con successo la forza necessaria per affrontare il successivo.

 Ma in pratica non funziona esattamente così. I compiti si raggruppano tutti insieme; tutti e quattro gli stadi ci si impongono indiscriminatamen­te. Sarebbe bene che del quarto stadio non si sapesse addi­rittura nulla fino al momento in cui sorga la necessità reale di affrontarlo. Altrimenti, è possibile che si sia indotti a rosicchiarlo o ad entrarvi un pochino. Ma non c'è 'pochi­no' in questo quarto stadio. Jung è stato chiarissimo al pro­posito: «Se non hai intenzione di portare l'analisi fino in fondo, non cominciarla».

 Per compiere il grande viaggio sotterraneo, il viaggio nel mare notturno, bisogna essere pronti ad arrivare fino in fondo. Il traghettatore vuole il suo pedaggio. Occorre possedere una quantità di energia, abbastanza energia immagazzinata in anticipo, per attraver­sare lo Stige e tornare indietro


Psiche deve rifiutare anche di partecipare alla tessitura del destino.

 Qual è la donna che riesce a resistere alla pos­sibilità di partecipare alla tessitura del destino del mondo, in particolare alla tessitura sovrapersonale della vita dei suoi figli, che lei non dovrebbe toccare? Le madri ritengo­no di dover guidare i loro figli e, per certi aspetti, questo è vero. Ma per altri aspetti essi non sono i loro figli; sono i figli della vita. Le madri non dovrebbero arrestare la pro­pria vita per prendere parte alla tessitura del destino dei figli; renderanno loro un miglior servizio curando il pro­prio destino.

(bene Signori e Signore..riprendete il vostro posto nella vostra vita e finitela di usare e usurpare le vite altrui!)



E così, Psiche procede nel suo viaggio nel mondo degli Inferi. È stata istruita a non mangiare molto finché rimane lì, così, quando Persefone la invita a un banchetto, Psiche ricorda il consiglio e rifiuta.

 Mangia soltanto pane e acqua. Questo episodio è molto suggestivo. In quasi tutte le cultu­re, mangiare in un determinato luogo significa stabilire dei legami permanenti con quel luogo o con quella famiglia o situazione. Condividendo il pasto, in qualche modo ci si impegna. Questo è il motivo per cui in India un bramino non mangerà mai nella casa di qualcuno di casta inferio­re: vi rimarrebbe legato.


Psiche ottiene lo scrigno contenente l'unguento di bel­lezza e se ne va, lanciando l'altro pezzo di pane d'orzo al cane Cerbero. Incontra di nuovo il traghettatore, paga il pedaggio e torna indietro.
Porta lo scrigno con l'unguento di bellezza alla superficie della terra, dopo aver superato tutte le prove e le difficoltà e, a questo punto, compie un'azione curiosa e folle. Im­provvisamente, l'assale il pensiero che se l'unguento è tan­to prezioso ad Afrodite, dovrebbe essere buono anche per lei. Così, apre lo scrigno. Non la bellezza ne esce, ma un sonno mortale: Psiche cade a terra come morta.





Questo è un momento molto importante...
(Continuiamo la storia fino alla fine; poi torneremo su questo punto.)



Quando questo accade, Eros avverte o sente che la sua amata è in pericolo. Allora vola da lei, le strofina via il son­no e lo ripone nello scrigno, chiude il coperchio, raccoglie Psiche e la porta sull'Olimpo. Psiche sarebbe morta se lui non l'avesse liberata. Eros parla con Zeus, che accetta di fare di Psiche una dea. Afrodite non solleva obiezioni: ap­parentemente sembra soddisfatta. Tutti gli dei si dichiara­no d'accordo ed Eros e Psiche si sposano. Lei mette al mon­do una bambina, cui viene imposto il nome di Piacere.


Come possiamo interpretare l'apertura del cofanetto conte­nente l'unguento di bellezza, in particolare dopo che Psiche ha compiuto con tanto coraggio tutte le imprese che ha compiuto?
L'unguento può simbolizzare la preoccupazione della donna per la propria bellezza o attrattiva, per la desiderabi­lità fisica. La storia ci insegna quanto questo sia importante per le donne, ora come sempre. Le donne dedicano molto del loro tempo alla cura dei capelli e ai cosmetici, atteggia­mento che il maschile non riesce a comprendere.
L'ossessione della nostra società nei confronti dell'eterna giovinezza è in gran parte una richiesta dell'unguento di bellezza di Persefone. Vi sono donne che hanno aperto il cofanetto e si sono addormentate, incapaci di vere relazio­ni perché troppo preoccupate dall'esteriorità. La donna pesantemente truccata è fuori dalla relazione; indossa una maschera, come tutti gli uomini sanno.

 Qualche volta le donne si comportano in questa maniera per cercare di pia­cere, ed eccitano il loro Eros in questo modo esteriore, ma nel processo perdono molta della loro naturale grazia fem­minile.

Il sonno di Psiche rappresenta il crollo finale. Si tratta del sonno della morte a lungo rimandato, che l'oracolo aveva previsto fin dall'inizio ma che Eros aveva dilazionato tra­sportando Psiche nel suo giardino.

La morte psicologica, intesa come trasformazione da un livello di sviluppo a un altro, costituisce un simbolo comune nei miti e nei sogni.

Si muore al vecchio sé e si accede a una nuova vita.

All'inizio Psiche è una creatura graziosa, innocente, fem­minile. Perché acquisisca nuova crescita e nuova vita, l'o­racolo, e l'evoluzione, le prescrivono di morire alla sua pre­occupazione fanciullesca, forse narcisistica, nei confronti della propria bellezza, innocenza e purezza e di lasciarsi coinvolgere dalle complessità della vita, compresi gli aspet­ti brutti e oscuri, e dalle potenzialità che Psiche ha in sé.

Ora come ora...questa parte femminile evoluta dov'è finita?

Ora, chi può aver capito tutto questo meglio di Persefo- ne, dalla quale Psiche viene mandata per ottenere l'un­guento di bellezza? Anche la Persefone della mitologia era all'inizio una giovane vergine bella e innocente, splen­dente di giovinezza e freschezza primaverili.


Era preoccupa­ta della propria bellezza, e fu questa preoccupazione a strap­parla all'innocenza e a collocarla nel ruolo che le era stato destinato.

Persefone rimase affascinata da un bellissimo fio­re, il narciso, che Giove aveva posto sul suo cammino espressamente per allontanarla dai suoi amici, così che Ade, il dio degli Inferi, potesse rapirla, portarla con sé nel­l'Oltretomba e prenderla in moglie.

 Dopo che Ade ebbe rapito Persefone e dopo che la madre Demetra l'ebbe lun­gamente cercata e pianta, Giove concesse finalmente alla fanciulla di lasciare gli Inferi una volta l'anno, in primave­ra, per fare ritorno sulla terra.

Persefone aveva imparato molto sulla bellezza, sul suo va­lore e il suo prezzo. La portava sulla terra tutti gli anni, in primavera e in estate, e la vedeva sfiorire e morire al primo apparire del gelo, quando tornava a discendere nell'oltre­tomba. Sì, sapeva della fragilità e della desiderabilità della bellezza di ogni genere.

E così, è da Persefone che Psiche deve recarsi per il suo compito finale. Ci potrebbe essere luogo migliore? Da chi altri poteva essere mandata la giovane e bella Psiche che doveva morire alla virginale preoccupazione primaverile nei confronti del proprio narcisismo, della propria bellez­za, quel narcisismo che la separava dalla sua stessa crescita e dal consesso umano?

Guardiamoci..guardiamoci..l'umano è oggi in grado di morire alla propria virginale adolescente bellezza?

Psiche si è aperta la strada attraverso i primi tre compiti, assimilando progressivamente in ciascuno di essi una com­prensione di sé sempre più complessa e avanzata. Alla fine, si deve confrontare con il compito stesso dell'individuazio­ne, della totalità, della completezza.
Questo compito ri­chiede la discesa profonda nell'inconscio, nel mondo del­l'ai di là, e può essere affrontato solamente dopo la conqui­sta di un controllo che ne consenta la gestione cosciente.

Questo punto è da analizzare molto bene: INTEREZZA. Essere interi significa essere integri, esserci tutti: lati chiari e lati oscuri. Quanti di noi possono dire di amare e difendere e conoscere e usare i propri lati chiari ed oscuri quando servono?






E curioso che, avendo ricercato nelle profondità dell'in­conscio il segreto dei suoi problemi, Psiche debba regredire alla coscienza precedente, aprire il cofanetto e morire di una morte simbolica. Quando cerca di tenere per sé e utilizzare l'unguento di bellezza (l'antica coscienza) per lei è la morte.

Pure, in questo mito come in molti altri, la morte si rivela soltanto un sonno. Perché l'Animus, nelle dimensioni con­facenti al mondo interiore dell'Olimpo, è in grado di salva­re l'Io e risvegliarlo a nuova vita, a un superiore livello di esistenza. L'Io e l'Animus hanno ora stabilito una relazio­ne adeguata, totale, completa. Lei è regina. Il frutto di que­sta unione è per lei gioia ed estasi, totalità e divinità.

Ma noi dobbiamo occuparci ancora un po' della morte- sonno di Psiche. Forse, il fallimento può essere tanto neces­sario quanto il successo perché una vita sia completa. Che persona insopportabile sarebbe Psiche se avesse fatto tutto perfettamente, senza sbagliare! I fallimenti ricordano a lei che è umana e ricordano a noi che per crescere è necessa­rio sbagliare.


Il sonno di Psiche fa pensare al sonno di Cristo nella tomba o al sonno di Giona nel ventre della balena. Si trat­ta del grande sonno, della grande morte, del grande crollo prima della vittoria finale.

Tutti noi siamo stati addestrati a pensare che progresso significa successo.

 E tuttavia ci deve anche essere un oppo­sto. John Sanford fa spesso riferimento alla differenza tra perfezione e completezza. È per la completezza, che com­prende il fallimento, che Psiche deve sbagliare ogni tanto nel corso del suo viaggio. Tutti abbiamo le nostre Om­bre, che spesso ci salvano nei momenti critici. Quando Psi­che solleva il coperchio del cofanetto, scopre che esso non contiene alcun unguento di bellezza; contiene soltanto il sonno della morte. Forse è sulla Persona che fino a ora Psi­che ha lavorato. Adesso, per lei, la bellezza è la morte.


Eros salva Psiche alla fine del mito, così che per lei la salvezza viene a essere un dono di totalità, non guadagnato ma elargito dagli dei. Si può allora presumere che sia sem­pre stato Eros a dare forza a Psiche.

Era stato Eros, in quan­to Animus, ad apparirle sotto forma di formica, giunco, aquila e torre.

 Se consideriamo il mito come storia della donna, Eros rappresenta il suo Animus interiore, che si rin­forza, guarisce, che si libera dalle sue caratteristiche fanciul­lesche e bricconesche e si trasforma in uomo maturo che merita di essere il compagno della donna.

Tutto questo av­viene grazie al duro lavoro di lei e alla collaborazione di lui. Lui, a sua volta, riscatta lei.

È bello scoprire che un problema apparentemente insolu­bile si è risolto tranquillamente da sé mentre noi eravamo impegnati nelle faccende pratiche.


C'è una storia persiana che narra di un giovane che, scalata una montagna, trova una caverna e comincia ad esplorarla.
Vi scopre una perla di grande valore, che però sta nelle fauci di un drago terri­ficante, il che induce il giovane a pensare che non avrà al­cuna possibilità di impadronirsene.
Se ne va, quindi, triste­mente, riconciliandosi con la vita di tutti i giorni che però, da quando ha scorto la perla, gli sembra assolutamente pro­saica.
Il giovane si sposa, forma una famiglia, lavora e da vecchio, quando i figli se ne vanno ed egli è di nuovo libe­ro, dice: «Prima di morire, voglio tornare a rivedere la per­la».
Ritorna sui monti, guarda nella caverna e vede la perla, bellissima come la prima volta, ma il drago si è rimpiccio­lito, è ridotto quasi a nulla. Allora l'uomo prende la perla e la porta via con sé. Per tutta la vita aveva lottato con il drago, nell'affrontare le cose pratiche di tutti i giorni.

Psiche dà alla luce una figlia, il cui nome viene tradotto in 'Piacere'.

Ho l'intuizione che sarebbe meglio dire Gioia o Estasi. Quando la donna raggiunge finalmente il pieno sviluppo e scopre la propria divinità, da lei nasce un ele­mento di piacere, gioia o estasi.

Credo che la conquista suprema della femminilità consi­sta nella capacità di portare gioia, estasi, piacere nella vita.

 L'uomo attribuisce grande valore alla donna proprio per questa sua capacità o potere.
Gli uomini non sono in gra­do di trovare da soli quest'estasi; hanno bisogno dell'aiuto dell'elemento femminile, che trovano in una donna ester­na o nella loro donna interiore.
La gioia è un dono che sca­turisce dal cuore della donna.

E privilegio e sviluppo supremo della donna quello di es­sere portatrice di gioia. Nel buddismo zen c'è una tradizio­ne chiamata 'Le Dieci Figure del Pascolo del Bove' che il­lustra lo sviluppo dell'uomo come una serie di incontri con un bove o un toro.
 Molti artisti hanno cercato di dipingere il viaggio esistenziale dell'uomo, il suo sviluppo spirituale, in questo modo immaginifico.
Nella prima figura l'uomo cerca il bove che ha perduto (l'istinto, la forza della natu­ra); nella seconda ne trova le tracce; nella terza lo vede; nella quarta si impadronisce dell'animale vincendone la re­sistenza; nella quinta conduce il bove, ora diventato docile; nella sesta vediamo l'uomo a cavallo dell'animale; la setti­ma figura illustra l'uomo da solo in meditazione; nell'otta­va, sia l'uomo sia il bove sono usciti dal campo visivo; nella nona figura l'uomo è tornato in pace e tranquillità al punto iniziale. La decima figura illustra il momento sublime in cui l'uomo, che ha ora raggiunto l'illuminazione, cammina lungo un sentiero nella maniera più comune, indossando abiti comuni, senza che alcun segno lo distingua dagli altri contadini. E tuttavia gioia e splendore lo seguono, e tutti gli alberi fioriscono al suo passaggio.


Credo che questo sia l'equivalente della gioiosa condizio­ne finale della donna individuata. Lei ha e lei è una visione beatifica. Il frutto di tutte le sue fatiche è la gioia, l'estasi.

Ora non mi resta che augurarvi e augurarci di riuscire ad essere interi, in ogni nostra parte..con gioia..io la mia l'ho fatta e tocca a voi...:-)

martedì 8 febbraio 2011

mito di Parsifal 14 - La Fanciulla Orgogliosa detta anche la Notte Buia dell'Anima





Parliamo di ora, parliamo di noi, parliamo del buco nero che ci afferra, parliamo dell'attimo rivelatore, parliamo di quando noi sappiamo come stiamo mentre gli altri ci vedono vincenti, parliamo di realtà e verità, parliamo di chiarezza, parliamo del "dovrei essere felice, invece..", parliamo di vivere la vita di un altro, parliamo del non detto e sopratutto del non fatto, parliamo di mente e ragione, parliamo di cuore che fa male....parliamo di pazzia...parliamo della nascita della SAGGEZZA...






Parsifal ha vinto molti cavalieri e li ha mandati alla corte di Artù, così tanti che la sua fama è cresciuta a dismisura nel mondo arturiano.
Ora Artù e la sua corte partono per tro­vare quest'uomo forte ed elusivo e battono la campagna alla sua ricerca. Un giorno lo trovano, lo mettono a capo della corte e indicono tre giorni di festa e di tornei in suo onore. Parsifal si è certamente guadagnato questi ono­ri, ma partecipa storditamente, senza molta voglia, a queste inevitabili conseguenze.

Ecco, abbiamo lottato, siamo all'apice..e nelle nostre mani cariche non c'è nulla..siamo il nulla...perchè?

Quante volte Parsifal agisce goffa­mente!
E' assai rassicurante constatare che è spesso in questi momenti di stordimento che trova lo stadio successivo del suo sviluppo. Se non fosse per questo fatto benevolente, tutti i Parsifal del mondo sarebbero caduti dal bordo del mondo piatto e sarebbero svaniti nell'oblìo che si merita­vano. Don Chisciotte, l'arcifolle di tutti i tempi, compie tutto il suo viaggio sublime grazie ai nonsensi.


All'apice dei tre giorni di festa, compare una fanciulla molto orgogliosa (domanda tranello: Afrodite o Psiche?) che, in un attimo, guasta tutti i festeggia­menti.

Cavalca un vecchio mulo decrepito, che zoppica con tutte e quattro le zampe. I capelli corvini della fanciul­la sono divisi in due trecce; «nere come l'inchiostro aveva le mani e le unghie». Gli occhi chiusi sono «piccoli come quelli di un topo». Il «naso come scimmia e gatto»; le «labbra come asino e toro». «La barba aveva, la schiena e il petto gibbosi; le spalle e i fianchi contorti come le ra­dici di un albero.» Mai, in una corte reale, si era vista una simile donna.




La sua missione consiste nel presentare alla festa l'altra faccia della medaglia, un compito che lei esegue egregia­mente.

Fermatevi e andate indietro con il pensiero cercando le Fanciulle Orgogliose che vi sono capitate nella vostra vita...

Snocciola tutti i peccati e le stupidità di Parsifal, di cui il più grave è non avere posto la domanda al castello del Graal.
Parsifal è umiliato e silente davanti a quella stes­sa corte che fino a un momento prima lo aveva elevato alle stelle.

Con la stessa certezza del tramonto, la Fanciulla Orgo­gliosa entra nella vita dell'uomo proprio nel momento in cui questi ha raggiunto l'apice dei suoi successi.


Ci sono alcune strane correlazioni tra il successo di un uomo e il potere che la Fanciulla Orgogliosa ha nella sua vita. Più in alto arriva, maggiore sembra la possibilità di patire sofferenza e umiliazione: il grado di fama e adulazio­ne che l'uomo riceve dal mondo esterno sembra determina­re il senso di fallimento e mancanza di significato che prova tra le mani della Fanciulla Orgogliosa.

Si potrebbe pensare che il successo rappresenti la protezione più sicura contro la mancanza di senso, ma non è così. È l'uomo 'arrivato' quel­lo più capace di porre questioni irrisolvibili sul proprio va­lore e sul significato della propria vita. Queste domande (che nella teologia medioevale venivano spesso definite «la notte buia dell'anima») hanno l'inquietante capacità di svegliare un uomo alle due o alle tre del mattino. Qual­cuno ha oscuramente osservato che sono sempre le due del mattino quando ci si ritrova nella «notte buia dell'anima».



La Fanciulla Orgogliosa è la portatrice del dubbio e della disperazione, di quelle qualità distruttive e rovinose che compaiono a metà della vita di ogni uomo intelligente.

Il gusto della vita se ne è andato; domande senza risposta lo tormentano. «A che cosa mi serve andare in ufficio? Che differenza fa? Che cosa c'è di buono? Perché?»

 Le donne non gli interessano più; i figli sono difficili o se ne sono andati; le vacanze non funzionano più. Proprio quando co­mincia a trovare il tempo e il significato delle cose piacevo­li della vita, queste non hanno più senso: questa è l'opera della Fanciulla Orgogliosa.

Tu a che punto sei????????


In questo stadio della vita, l'uomo sente il bisogno impe­rioso di trovare una nuova Fanciulla che lo protegga dalla Fanciulla Orgogliosa, ma se prima non scende a patti con l'elemento oscuro non ci sarà Fanciulla, vecchia o nuova, che possa liberarlo da questo periodo buio della sua vita.

La donna che riesce a rimanere tranquilla alla presenza di un uomo che sta attraversando questo fosco periodo della vita mostra del vero genio. Un simile atteggiamento la pro­tegge dalle proiezioni di Fanciulla Orgogliosa che l'uomo è soltanto troppo felice di metterle addosso.

Un calmo 'ri­manere lì' è il dono più grande che una donna possa offrire in un momento come questo.

WARNING!!!!!!! Nella nostra epoca tranquillizzante, l'opinione prevalen­te è che il tempo della Fanciulla Orgogliosa debba essere evitato o trattato come una malattia che va curata; ma al­lontanare questo momento buio significa sterilizzare la pos­sibilità evolutiva che esso porta in sé.


L'annunciatrice del buio compie a corte un atto individuativo tremendamente importante, quello di spartire i compiti tra i cavalieri presenti, essendo ogni compito una ricerca individuale per ciascun cavaliere. (Psiche compiti/cavalieri compiti) 
Prima di questo momento evolutivo, tutti i compiti erano comuni: i cava­lieri partivano in gruppo o almeno in coppia per combatte­re un drago o togliere l'assedio a un castello.

Dopo la visita della Fanciulla Orgogliosa, tutti i compiti diventano unici e individuali.

Ogni cavaliere deve andarsene da solo, trova­re la propria strada, combattere nella sua ricerca una batta­glia solitaria.

Le soluzioni collettive o di gruppo ai problemi finiscono a questo punto.


L'umanità è, ORA, in questo stadio evolutivo. Chi non capirà e abbraccerà la propria solitudine interiore non avrà più spazio.

Questo cambiamento nell'atteg­giamento di base rappresenta la sola risposta praticabile alla disperazione portata dalla Fanciulla Orgogliosa. Tutta la sofferenza psicologica (o la felicità, nel senso in cui abitual­mente la si considera) è una questione di paragone. Quan­do accettiamo la solitudine del nostro viaggio, non c'è pa­ragone possibile, poiché siamo in quel mondo esistenziale dove le cose semplicemente 'sono'. In questo regno non c'è felicità e infelicità nel senso abituale, ma soltanto quel­lo stato dell'essere che viene giustamente chiamato Estasi. Fa male dover ammettere che questo è il dono della Fan­ciulla Orgogliosa, ma non vi è altro portatore per un dono così sublime. Forse l'autore medioevale della frase: «La sof­ferenza è il destriero più veloce verso la redenzione» sapeva questo.



Onorare la Fanciulla Orgogliosa e accettare la sua nuova visione della natura della ricerca significa imbarcarsi nella seconda metà della vita.

Dalla Fanciulla Orgogliosa Parsifal impara che il suo compito, in questa nuova gestione, è quello di trovare per la seconda volta il castello del Graal. Fa il voto di non dormire per due volte nello stesso letto fino a che non ritroverà quel mondo visionario.

La Fanciulla Orgogliosa, dopo aver ricordato alla corte che la ricerca del Graal richiede la castità dei cavalieri e avere così adempiuto al suo compito, se ne va zoppicando.

L'ennesima volta, tengo a ricordare che la castità ri­chiesta per questo viaggio non ha nulla a che vedere con il comportamento nei confronti della donna in carne e os­sa e che essa ha le sue proprie leggi ed esige una propria intelligenza.

La castità che l'uomo deve praticare in questa ricerca consiste nel non farsi sedurre e nel non sedurre la propria donna interiore, nel senso del capriccio o dell'Ani­ma.

(ora capite perchè TUTTE le religioni hanno fallito? Le religioni vogliono il potere, ma per averlo devono avere uomini-schiavi, la castità intesa come s'intende comunemente, rende schiavi)

Tutti i cavalieri, tranne Parsifal (e Galahad nella ver­sione inglese della leggenda del Graal) falliscono nella loro ricerca.

Questo per dire che ci saranno molti insuccessi nel­la ricerca cui siamo destinati nella vita ma che è assoluta­mente necessario che la coscienza (Parsifal) rimanga fedele alla ricerca.

Non sono necessari né un buon punteggio né la perfezione, ma la coscienza sì, quella è necessaria.