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lunedì 14 febbraio 2011

mito di Psiche 14 -Ultimo compito: NO creativo ovvero ESSERE VERA DONNA



Ultimo compito: NO creativo ovvero ESSERE VERA DONNA


Siamo arrivati alla fine, miei cari......

Ma questa non è una commedia agro-dolce, ma la metafora della vita, ed arrivare alla fine significa scoprire come passare di livello. 
Ormai i videogiochi ci hanno abituato a capire cosa significa: se vuoi passare di livello devi affrontare la prova più difficile.

Il NO è per la parte femminile la prova più difficile in assoluto e va affrontata riunendo tutte le nostre parti potenti e mettendole al servizio di una forza che ci oltrepassa, con fede assoluta che questo è NECESSARIO.

Pochi di voi saranno in grado di farlo


Il quarto compito di Psiche è senza dubbio il più interessan­te di tutti, ma poche sono le donne che raggiungono questo livello di sviluppo, perché esso si situa al di fuori dello spet­tro di esperienza della maggior parte delle persone.

Ogni volta che mi accingo a parlare di questo quarto compito, sento che la solidità della razionalità e della ragione mi si dissolve sotto i piedi.
Pure, bisogna sapere queste cose se si è chiamati a compiere l'ultimo dei compiti di Psiche.


Afrodite vuole ora che Psiche vada nel mondo infero e ottenga dalle mani di Persefone (che laggiù
regna) un pic­colo scrigno contenente l'unguento di bellezza (cos'è la bellezza?) che essa usa.

 Ancora una volta Psiche crolla. Questa volta l'elemento che le viene in aiuto non è un essere vivente e neppure un fenomeno naturale, bensì una torre, che le fornisce le istruzioni per il suo viaggio sotterraneo

.

Psiche dovrà tenere in bocca due monete e nelle mani due pezzi di pane d'orzo. 
Dovrà rifiutarsi di aiutare un uo­mo claudicante che conduce un asino e che le chiederà di raccogliere 
dei ramoscelli. 
Dovrà pagare il traghettatore del fiume Stige con una delle monete. 
Dovrà rifiutare la mano brancolante di un moribondo che affiora dall'ac­qua.
Dovrà rifiutarsi di aiutare tre donne che staranno tes­sendo i fili del destino. 
Dovrà gettare un pezzo di pane d'or­zo a Cerbero, il cane a tre teste che custodisce le porte del­l'inferno, e dovrà superare l'ingresso mentre le teste del cane staranno disputandosi il tozzo di pane. 
Dovrà rifiuta­re di mangiare qualunque cosa che non sia il cibo più sem­plice disponibile all'inferno. 
E quindi dovrà ripetere l'inte­ro processo all'inverso, quando intraprenderà la strada del ritorno.

La donna non potrà affrontare il quarto compito se non avrà raccolto tutta la forza necessaria dai primi tre.

Che significato hanno questi doveri se non tradire la sua natura terrena, negare l'armonia che vorrebbe, permettersi di vedere se stessa nella sua parte Caina?
Perchè farlo? Guardiamo..


Quasi inevitabilmente avrà bisogno di un maestro o di una gui­da, e se non è dotata di forza e coraggio sarà meglio che non si accosti neppure a questa impresa.

 Il rimanere inca­gliati nel corso di un viaggio nell'Oltretomba costituisce un'esperienza tremenda. 

Se non si posseggono le monete, il pane d'orzo e, cosa ancora più importante, le necessarie informazioni fornite dalla torre, allora è meglio non intra­prendere il viaggio.

Che vuol dire? Cosa sono le monete, il pane d'orzo e le "informazioni"?


Prima di tutto si trova una TORRE, una costruzione umana. La torre è maschile, è un costrutto, una convenzione, un insieme di regole, una tradizione, un sistema.

 Il cristianesi­mo rappresenta una torre del genere, ed è una delle migliori per noi occidentali.

Esempi eccellenti di torri di questo ge­nere sono gli esercizi spirituali di Ignazio da Loyola, le vite dei santi, l'anno liturgico e gli eremi cristiani.
Al di là della nostra cultura esistono molti sistemi quali lo yoga, il misti­cismo sufi, lo zen e altre torri orientali.
In teoria non impor­ta quale torre si scelga, benché, in generale, sia meglio che gli occidentali rimangano all'interno delle tradizioni della loro coscienza occidentale.
Il nostro inconscio collettivo ha dei modelli che si adattano meglio ai nostri modi occi­dentali.




La prima cosa che psiche deve imparare è frenare la sua generosità; imparare a dire di no allo zoppo e al moribondo (ma solamente a questo stadio della sua crescita).

 Una vol­ta ho vissuto la profonda esperienza di aiutare una donna molto intelligente in questo quarto stadio.
Essa rischiò di perdersi proprio riguardo alla questione della generosità femminile, al fatto di dover dire di no a qualcuno.
Dovetti spesso farlo io per lei, quando non sopportava di farlo da sé. Qualcuno le telefonava, le chiedeva qualche cosa e lei non riusciva a rifiutare. Io dovevo essere la sua torre e rifiutare al posto suo.

 Tutto questo continuò per due anni. Si tratta di un momento difficile per una donna. Mentre esegue il compito, un vecchio storpio lascia cadere alcuni ramoscel­li e le chiede di aiutarlo a rimetterli sul dorso dell'asino e lei deve dire di no; un uomo morente le tende la mano e lei deve dire di no.


La gentilezza e la capacità di dare sono virtù molto curio­se. L'atteggiamento occidentale nei confronti della genero­sità non ci concede praticamente alternative, se non quella di essere gentili. Quando mi trovavo in India, scoprii un atteggiamento diverso riguardo alla gentilezza. Quando pensavo di essere gentile verso un mendicate, per esem­pio, il mio amico indiano mi diceva: «Robert, perché inter­ferisci con la vita degli altri?» Alla fine trovai una risposta a questa domanda. Gli dissi: «Perché ne ho bisogno». «Be­ne,» rispose lui, «se è così, allora va bene.»
Una parabola cinese parla del maschile e del femminile nel modo seguente.

(ZOOOOOOOOOOMMMM!!!!imparatevela a memoria please!)

Un uomo sta, all'alba, sulla cima del monte e allunga le mani, con i palmi verso l'alto, per pro­nunciare il sì creativo.
Una donna sta, all'alba, sulla cima del monte e allunga le mani, con i palmi verso il basso, per pronunciare il no creativo.

Secondo il pensiero cine­se, questo esprime il fatto che il maschile e il femminile portano ciascuno metà della realtà (lo yang e lo yin, in ter­mini cinesi) e si complementano in maniera perfetta.

Cia­scuno ha bisogno dell'altro; ciascuno nutre l'altro.

 È con il no creativo che abbiamo a che fare qui, e si tratta di una questione non indifferente. Il no quale creazione è una pos­sibilità che nella cultura occidentale è andata totalmente perduta. La donna può 
arrivare a un no creativo, limitan­te, che dà forma, se compie questa parte del viaggio di Psi­che.


Questo vale solamente se la donna si trova in questo quarto stadio, solamente se ha portato a termine gli altri compiti.

Se non ha imparato a essere generosa, questo com­pito sarà per lei veleno. 

Soltanto in determinati momenti il no creativo diventa necessario. Dopo, può essere abbando­nato e si può ritornare generosi.


Nella nostra società non incontriamo le mani ossute dei mendicanti, ma le richieste del nostro tempo.

Il telefono squilla e dall'altro capo del filo ci viene chiesto di fare una serie di cose. Il campanello suona e qualcuno ci chie­de un obolo per la tale organizzazione o la tal opera di ca­rità. Io sono arrivato a decidere che questo non era il modo in cui volevo donare il mio denaro, ma mi ci è voluto mol­to coraggio per dire alla persona alla porta: «No, preferisco dare i miei soldi in altro modo».


Nella gran parte delle società primitive, se si fa qualche cosa per qualcuno, si rimane debitori nei confronti di quel­la persona. In Africa, se qualcuno salva la vita a un uomo e quell'uomo commette un crimine, colui che lo ha salvato è responsabile del crimine. In India, il mio amico non smet­teva di farmi domande sulla mia gentilezza nei confronti degli altri. Diceva per esempio: «Perché fai questo?» Io bal­bettavo risposte quali: «Beh, è una buona cosa», oppure: «Mi ha toccato il cuore». E lui rispondeva: «Non è una buona ragione».

Il mito ci dice che, a questo punto della vita, la donna non deve fare il bene in maniera indiscriminata. In partico­lare, è proibito il bene collettivo. Il motivo sta nel fatto che il quarto compito richiede tutta l'energia e tutte le risorse di una persona.

Idealmente, la donna attraversa i suoi compiti individua­tivi uno per volta, uno stadio alla volta, e incorpora da un compito portato a termine con successo la forza necessaria per affrontare il successivo.

 Ma in pratica non funziona esattamente così. I compiti si raggruppano tutti insieme; tutti e quattro gli stadi ci si impongono indiscriminatamen­te. Sarebbe bene che del quarto stadio non si sapesse addi­rittura nulla fino al momento in cui sorga la necessità reale di affrontarlo. Altrimenti, è possibile che si sia indotti a rosicchiarlo o ad entrarvi un pochino. Ma non c'è 'pochi­no' in questo quarto stadio. Jung è stato chiarissimo al pro­posito: «Se non hai intenzione di portare l'analisi fino in fondo, non cominciarla».

 Per compiere il grande viaggio sotterraneo, il viaggio nel mare notturno, bisogna essere pronti ad arrivare fino in fondo. Il traghettatore vuole il suo pedaggio. Occorre possedere una quantità di energia, abbastanza energia immagazzinata in anticipo, per attraver­sare lo Stige e tornare indietro


Psiche deve rifiutare anche di partecipare alla tessitura del destino.

 Qual è la donna che riesce a resistere alla pos­sibilità di partecipare alla tessitura del destino del mondo, in particolare alla tessitura sovrapersonale della vita dei suoi figli, che lei non dovrebbe toccare? Le madri ritengo­no di dover guidare i loro figli e, per certi aspetti, questo è vero. Ma per altri aspetti essi non sono i loro figli; sono i figli della vita. Le madri non dovrebbero arrestare la pro­pria vita per prendere parte alla tessitura del destino dei figli; renderanno loro un miglior servizio curando il pro­prio destino.

(bene Signori e Signore..riprendete il vostro posto nella vostra vita e finitela di usare e usurpare le vite altrui!)



E così, Psiche procede nel suo viaggio nel mondo degli Inferi. È stata istruita a non mangiare molto finché rimane lì, così, quando Persefone la invita a un banchetto, Psiche ricorda il consiglio e rifiuta.

 Mangia soltanto pane e acqua. Questo episodio è molto suggestivo. In quasi tutte le cultu­re, mangiare in un determinato luogo significa stabilire dei legami permanenti con quel luogo o con quella famiglia o situazione. Condividendo il pasto, in qualche modo ci si impegna. Questo è il motivo per cui in India un bramino non mangerà mai nella casa di qualcuno di casta inferio­re: vi rimarrebbe legato.


Psiche ottiene lo scrigno contenente l'unguento di bel­lezza e se ne va, lanciando l'altro pezzo di pane d'orzo al cane Cerbero. Incontra di nuovo il traghettatore, paga il pedaggio e torna indietro.
Porta lo scrigno con l'unguento di bellezza alla superficie della terra, dopo aver superato tutte le prove e le difficoltà e, a questo punto, compie un'azione curiosa e folle. Im­provvisamente, l'assale il pensiero che se l'unguento è tan­to prezioso ad Afrodite, dovrebbe essere buono anche per lei. Così, apre lo scrigno. Non la bellezza ne esce, ma un sonno mortale: Psiche cade a terra come morta.





Questo è un momento molto importante...
(Continuiamo la storia fino alla fine; poi torneremo su questo punto.)



Quando questo accade, Eros avverte o sente che la sua amata è in pericolo. Allora vola da lei, le strofina via il son­no e lo ripone nello scrigno, chiude il coperchio, raccoglie Psiche e la porta sull'Olimpo. Psiche sarebbe morta se lui non l'avesse liberata. Eros parla con Zeus, che accetta di fare di Psiche una dea. Afrodite non solleva obiezioni: ap­parentemente sembra soddisfatta. Tutti gli dei si dichiara­no d'accordo ed Eros e Psiche si sposano. Lei mette al mon­do una bambina, cui viene imposto il nome di Piacere.


Come possiamo interpretare l'apertura del cofanetto conte­nente l'unguento di bellezza, in particolare dopo che Psiche ha compiuto con tanto coraggio tutte le imprese che ha compiuto?
L'unguento può simbolizzare la preoccupazione della donna per la propria bellezza o attrattiva, per la desiderabi­lità fisica. La storia ci insegna quanto questo sia importante per le donne, ora come sempre. Le donne dedicano molto del loro tempo alla cura dei capelli e ai cosmetici, atteggia­mento che il maschile non riesce a comprendere.
L'ossessione della nostra società nei confronti dell'eterna giovinezza è in gran parte una richiesta dell'unguento di bellezza di Persefone. Vi sono donne che hanno aperto il cofanetto e si sono addormentate, incapaci di vere relazio­ni perché troppo preoccupate dall'esteriorità. La donna pesantemente truccata è fuori dalla relazione; indossa una maschera, come tutti gli uomini sanno.

 Qualche volta le donne si comportano in questa maniera per cercare di pia­cere, ed eccitano il loro Eros in questo modo esteriore, ma nel processo perdono molta della loro naturale grazia fem­minile.

Il sonno di Psiche rappresenta il crollo finale. Si tratta del sonno della morte a lungo rimandato, che l'oracolo aveva previsto fin dall'inizio ma che Eros aveva dilazionato tra­sportando Psiche nel suo giardino.

La morte psicologica, intesa come trasformazione da un livello di sviluppo a un altro, costituisce un simbolo comune nei miti e nei sogni.

Si muore al vecchio sé e si accede a una nuova vita.

All'inizio Psiche è una creatura graziosa, innocente, fem­minile. Perché acquisisca nuova crescita e nuova vita, l'o­racolo, e l'evoluzione, le prescrivono di morire alla sua pre­occupazione fanciullesca, forse narcisistica, nei confronti della propria bellezza, innocenza e purezza e di lasciarsi coinvolgere dalle complessità della vita, compresi gli aspet­ti brutti e oscuri, e dalle potenzialità che Psiche ha in sé.

Ora come ora...questa parte femminile evoluta dov'è finita?

Ora, chi può aver capito tutto questo meglio di Persefo- ne, dalla quale Psiche viene mandata per ottenere l'un­guento di bellezza? Anche la Persefone della mitologia era all'inizio una giovane vergine bella e innocente, splen­dente di giovinezza e freschezza primaverili.


Era preoccupa­ta della propria bellezza, e fu questa preoccupazione a strap­parla all'innocenza e a collocarla nel ruolo che le era stato destinato.

Persefone rimase affascinata da un bellissimo fio­re, il narciso, che Giove aveva posto sul suo cammino espressamente per allontanarla dai suoi amici, così che Ade, il dio degli Inferi, potesse rapirla, portarla con sé nel­l'Oltretomba e prenderla in moglie.

 Dopo che Ade ebbe rapito Persefone e dopo che la madre Demetra l'ebbe lun­gamente cercata e pianta, Giove concesse finalmente alla fanciulla di lasciare gli Inferi una volta l'anno, in primave­ra, per fare ritorno sulla terra.

Persefone aveva imparato molto sulla bellezza, sul suo va­lore e il suo prezzo. La portava sulla terra tutti gli anni, in primavera e in estate, e la vedeva sfiorire e morire al primo apparire del gelo, quando tornava a discendere nell'oltre­tomba. Sì, sapeva della fragilità e della desiderabilità della bellezza di ogni genere.

E così, è da Persefone che Psiche deve recarsi per il suo compito finale. Ci potrebbe essere luogo migliore? Da chi altri poteva essere mandata la giovane e bella Psiche che doveva morire alla virginale preoccupazione primaverile nei confronti del proprio narcisismo, della propria bellez­za, quel narcisismo che la separava dalla sua stessa crescita e dal consesso umano?

Guardiamoci..guardiamoci..l'umano è oggi in grado di morire alla propria virginale adolescente bellezza?

Psiche si è aperta la strada attraverso i primi tre compiti, assimilando progressivamente in ciascuno di essi una com­prensione di sé sempre più complessa e avanzata. Alla fine, si deve confrontare con il compito stesso dell'individuazio­ne, della totalità, della completezza.
Questo compito ri­chiede la discesa profonda nell'inconscio, nel mondo del­l'ai di là, e può essere affrontato solamente dopo la conqui­sta di un controllo che ne consenta la gestione cosciente.

Questo punto è da analizzare molto bene: INTEREZZA. Essere interi significa essere integri, esserci tutti: lati chiari e lati oscuri. Quanti di noi possono dire di amare e difendere e conoscere e usare i propri lati chiari ed oscuri quando servono?






E curioso che, avendo ricercato nelle profondità dell'in­conscio il segreto dei suoi problemi, Psiche debba regredire alla coscienza precedente, aprire il cofanetto e morire di una morte simbolica. Quando cerca di tenere per sé e utilizzare l'unguento di bellezza (l'antica coscienza) per lei è la morte.

Pure, in questo mito come in molti altri, la morte si rivela soltanto un sonno. Perché l'Animus, nelle dimensioni con­facenti al mondo interiore dell'Olimpo, è in grado di salva­re l'Io e risvegliarlo a nuova vita, a un superiore livello di esistenza. L'Io e l'Animus hanno ora stabilito una relazio­ne adeguata, totale, completa. Lei è regina. Il frutto di que­sta unione è per lei gioia ed estasi, totalità e divinità.

Ma noi dobbiamo occuparci ancora un po' della morte- sonno di Psiche. Forse, il fallimento può essere tanto neces­sario quanto il successo perché una vita sia completa. Che persona insopportabile sarebbe Psiche se avesse fatto tutto perfettamente, senza sbagliare! I fallimenti ricordano a lei che è umana e ricordano a noi che per crescere è necessa­rio sbagliare.


Il sonno di Psiche fa pensare al sonno di Cristo nella tomba o al sonno di Giona nel ventre della balena. Si trat­ta del grande sonno, della grande morte, del grande crollo prima della vittoria finale.

Tutti noi siamo stati addestrati a pensare che progresso significa successo.

 E tuttavia ci deve anche essere un oppo­sto. John Sanford fa spesso riferimento alla differenza tra perfezione e completezza. È per la completezza, che com­prende il fallimento, che Psiche deve sbagliare ogni tanto nel corso del suo viaggio. Tutti abbiamo le nostre Om­bre, che spesso ci salvano nei momenti critici. Quando Psi­che solleva il coperchio del cofanetto, scopre che esso non contiene alcun unguento di bellezza; contiene soltanto il sonno della morte. Forse è sulla Persona che fino a ora Psi­che ha lavorato. Adesso, per lei, la bellezza è la morte.


Eros salva Psiche alla fine del mito, così che per lei la salvezza viene a essere un dono di totalità, non guadagnato ma elargito dagli dei. Si può allora presumere che sia sem­pre stato Eros a dare forza a Psiche.

Era stato Eros, in quan­to Animus, ad apparirle sotto forma di formica, giunco, aquila e torre.

 Se consideriamo il mito come storia della donna, Eros rappresenta il suo Animus interiore, che si rin­forza, guarisce, che si libera dalle sue caratteristiche fanciul­lesche e bricconesche e si trasforma in uomo maturo che merita di essere il compagno della donna.

Tutto questo av­viene grazie al duro lavoro di lei e alla collaborazione di lui. Lui, a sua volta, riscatta lei.

È bello scoprire che un problema apparentemente insolu­bile si è risolto tranquillamente da sé mentre noi eravamo impegnati nelle faccende pratiche.


C'è una storia persiana che narra di un giovane che, scalata una montagna, trova una caverna e comincia ad esplorarla.
Vi scopre una perla di grande valore, che però sta nelle fauci di un drago terri­ficante, il che induce il giovane a pensare che non avrà al­cuna possibilità di impadronirsene.
Se ne va, quindi, triste­mente, riconciliandosi con la vita di tutti i giorni che però, da quando ha scorto la perla, gli sembra assolutamente pro­saica.
Il giovane si sposa, forma una famiglia, lavora e da vecchio, quando i figli se ne vanno ed egli è di nuovo libe­ro, dice: «Prima di morire, voglio tornare a rivedere la per­la».
Ritorna sui monti, guarda nella caverna e vede la perla, bellissima come la prima volta, ma il drago si è rimpiccio­lito, è ridotto quasi a nulla. Allora l'uomo prende la perla e la porta via con sé. Per tutta la vita aveva lottato con il drago, nell'affrontare le cose pratiche di tutti i giorni.

Psiche dà alla luce una figlia, il cui nome viene tradotto in 'Piacere'.

Ho l'intuizione che sarebbe meglio dire Gioia o Estasi. Quando la donna raggiunge finalmente il pieno sviluppo e scopre la propria divinità, da lei nasce un ele­mento di piacere, gioia o estasi.

Credo che la conquista suprema della femminilità consi­sta nella capacità di portare gioia, estasi, piacere nella vita.

 L'uomo attribuisce grande valore alla donna proprio per questa sua capacità o potere.
Gli uomini non sono in gra­do di trovare da soli quest'estasi; hanno bisogno dell'aiuto dell'elemento femminile, che trovano in una donna ester­na o nella loro donna interiore.
La gioia è un dono che sca­turisce dal cuore della donna.

E privilegio e sviluppo supremo della donna quello di es­sere portatrice di gioia. Nel buddismo zen c'è una tradizio­ne chiamata 'Le Dieci Figure del Pascolo del Bove' che il­lustra lo sviluppo dell'uomo come una serie di incontri con un bove o un toro.
 Molti artisti hanno cercato di dipingere il viaggio esistenziale dell'uomo, il suo sviluppo spirituale, in questo modo immaginifico.
Nella prima figura l'uomo cerca il bove che ha perduto (l'istinto, la forza della natu­ra); nella seconda ne trova le tracce; nella terza lo vede; nella quarta si impadronisce dell'animale vincendone la re­sistenza; nella quinta conduce il bove, ora diventato docile; nella sesta vediamo l'uomo a cavallo dell'animale; la setti­ma figura illustra l'uomo da solo in meditazione; nell'otta­va, sia l'uomo sia il bove sono usciti dal campo visivo; nella nona figura l'uomo è tornato in pace e tranquillità al punto iniziale. La decima figura illustra il momento sublime in cui l'uomo, che ha ora raggiunto l'illuminazione, cammina lungo un sentiero nella maniera più comune, indossando abiti comuni, senza che alcun segno lo distingua dagli altri contadini. E tuttavia gioia e splendore lo seguono, e tutti gli alberi fioriscono al suo passaggio.


Credo che questo sia l'equivalente della gioiosa condizio­ne finale della donna individuata. Lei ha e lei è una visione beatifica. Il frutto di tutte le sue fatiche è la gioia, l'estasi.

Ora non mi resta che augurarvi e augurarci di riuscire ad essere interi, in ogni nostra parte..con gioia..io la mia l'ho fatta e tocca a voi...:-)

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