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martedì 25 gennaio 2011

mito di Parsifal 13 - A Ruben nel suo..13° compleanno...

Gli anni sterili




Dedico questo capitolo a mio figlio Ruben che proprio oggi compie 13 anni...proprio perchè questo che segue sarà il cammino che dovrà percorrere da ora.
Saranno anni stupendi e difficilissimi che lo porteranno a diventare una Vera persona Adulta, se saprà districarsi nel combattimento tra il suo Io, il suo Sè e il Mondo.
Ruben è speciale e ce la farà sicuramente.


Non a tutti è concesso, anzi, sono poche le persone che ci riescono. Confido che i giovani, ormai disillusi, possano essere più numerosi....


E voi? Ce l'avete fatta?
Fatevi un test..:-)


Parsifal ha lasciato il castello del Graal e ora deve guadagnarsi il diritto di farvi ritorno.

Partecipa a una lunga serie di avventure cavalleresche che, gradualmente, lo rinforzano tanto da metterlo in condizione di chiedere di entrare una seconda volta nel castello del Graal.

Incontra una donna piangente che tiene tra le braccia il corpo morto del suo amato.
Tra le lacrime, gli spiega che il suo amato cavaliere è stato ucciso da un altro cavaliere nel corso di una lite riguardante un qualche cosa che Parsifal ha combinato in una delle sue prime, ingenue, avventure. Parsifal deve assumersi la colpa di ciò.

Cosa significa "assumersi la COLPA"?
Noi siamo fuorviati dall'aspetto cattolico del concetto di "colpa", in verità colpa viene da cello=spingere. E' intuitivo che si ha colpa laddove una situazione viene "spinta" oltre a ciò che dovrebbe essere. Per conoscere i limiti ed i confini è ovvio che si debba "spingere", ovvero testare diremmo oggi.
Ed è quindi sano farlo per capire ed entrare nella conoscenza (3) e poi nella coscienza (4).

 La donna chiede a Parsifal da dove venga e quando lui glielo dice, gli ribatte che non ci sono abitazioni nel raggio di trenta miglia. Lui allora descrive nei dettagli la propria esperienza e lei esclama: «Oh! Ma sei stato nel castello del Graal!» Le donne spesso sono più informate degli uomini su queste esperienze. Quindi, lei lo rimprovera per non avere posto la domanda e guarito il Re Pescatore.
Anche questa è una sua colpa. E le colpe si accumulano.

 La donna chiede a Parsifal il suo nome. Benché noi abbiamo usato il nome del ragazzo, Parsifal, questo nome non appare nella versione originale che a questo punto: «Parsifal, lui esclama».
Fino a quando non si è stati nel castello del Graal non si ha un nome, perchè non si ha alcun senso della propria identità.
Parsifal si avvicina a una fanciulla in lacrime: anch'essa ha molto sofferto a causa di una qualche ingenua disgrazia provocata da Parsifal nei suoi primi viaggi.
Questa fanciulla informa Parsifal che la sua spada si spezzerà la prima volta che la userà e che potrà essere riparata solamente da colui che l'ha forgiata in origine. Una volta sistemata, non si romperà mai più.

Si tratta di un'ottima informazione per un giovane: gli arnesi maschili che egli si porta appresso, in gran parte imitazioni dei padri-maestri che gli stanno intorno, non reggeranno quando lui cercherà di usarli da sé. Tutti i giovani devono passare attraverso l'umiliazione di scoprire che la loro mascolinità imitativa non regge.
 E ancora di più: solamente il padre che ha consegnato la spada al ragazzo è in grado di ripararla. Questo significa che ciò che è stato dato da un padre può essere riparato soltanto da un padre.


Che significa questo? Pensateci..zoooooooooooom...

Un padrino, un mentore, rappresenta un alleato di grande valore in questo momento. E assai vantaggioso avere un padrino che ripari ciò che è stato trasmesso dal padre ma che non ha retto.

Parsifal vince molti cavalieri, li manda alla corte di Artù, libera numerose fanciulle, solleva città dagli assedi, uccide draghi: fa tutte le buone cose che un uomo deve fare nella parte mediana della propria vita.

 Questo è il processo culturale che fa funzionare il mondo civile. Noi sorridiamo di fronte alle storie di draghi, ci lasciamo incantare dai castelli, eppure soffriamo per queste cose ai nostri giorni in modo altrettanto diretto di quanto accadeva agli uomini medioevali.

Oggi li chiamiamo complessi, umori, capricci o invasioni dell'Ombra, ma io trovo il linguaggio antico almeno tanto descrittivo quanto lo è il nostro, o forse ancora di più.

La fama di Parsifal ha raggiunto la corte di Artù, e il re fa cercare questo grande eroe nella propria terra. Parsifal è il miglior cavaliere del mondo, proprio come aveva detto la fanciulla che non aveva riso per sette anni. Artù fa il voto di non dormire per due notti nello stesso letto fino a quando non avrà trovato questo eroe meraviglioso, questo fiore del suo regno.

Proprio in questo momento, Parsifal vive una curiosa esperienza. Mentre vaga nel suo viaggio cavalleresco, vede un falco che aggredisce tre oche in volo. Tre gocce di sangue cadono sulla neve accanto a Parsifal ed egli, a quella vista, scivola in uno stato di stupore amoroso. Paralizzato dalle tre gocce di sangue, non riesce a pensare ad altro che a Bianche Fleur.

Gli uomini di re Artù lo trovano in questo stato di fissità stuporosa e due di loro cercano di condurlo alla corte del re. Lui li combatte e spezza un braccio a uno di loro, a quello che aveva schermito la fanciulla che aveva riso alla corte di Artù. Parsifal aveva giurato di vendicarla per questo atto di disprezzo: il giuramento ora è mantenuto.
Galvano, un terzo cavaliere, chiede a Parsifal con gentilezza e umiltà se vuole seguirlo alla corte di Artù e Parsifal acconsente.

Un'altra versione della storia narra che il sole scioglie le gocce di sangue e ne cancella due, liberando così Parsifal dal suo stupore amoroso.
 Forse Parsifal sarebbe ancora in quello stato se il sole non avesse sciolto le gocce di sangue o se Galvano non lo avesse liberato.

Curioso simbolismo, quello di questa parte della storia. Quando i sogni o i miti danno tanta importanza ai numeri, è certo che parti molto profonde dell'inconscio collettivo sono all'opera. Ricordate l'enfasi posta sul quattro nel castello del Graal? In questo caso, a venir messo in evidenza è il numero tre.

Il quattro sembra essere il linguaggio che l'inconscio collettivo usa per indicare pace, totalità, completezza, tranquillità.

Il tre è il simbolo dell'urgenza, dell'incompiutezza, dell'inquietudine, della lotta, della conquista. Parsifal, essendo stato profondamente toccato dalla quater- nità del castello del Graal, deve ora vedersela con la trinità della vita qui-e-ora. I suoi amori, la ricerca cavalleresca, il suo posto alla corte di Artù (queste cose del qui-e-ora), lo reclamano. Nessuno può fare ritorno al castello del Graal fino a quando non ha compiuto il viaggio nelle dimensioni umane della vita.

È un momento scomodo quando la vita è dominata dal tre: esso deve essere ridotto a uno o elevato a quattro. 

Il tre, o il tipo di coscienza rappresentata dal tre, per la sua intensità e per la sua pulsionalità non può essere sostenuto a lungo. Se ci troviamo nel mezzo di un conflitto paralizzante, dobbiamo compiere lo sforzo per passare oltre e raggiungere un luogo illuminato di comprensione, la quaterni- tà, oppure dobbiamo ridurre la nostra coscienza a un livello che assicuri la semplice sopravvivenza.


C.G. Jung, negli ultimi anni della sua vita, passò molto tempo a lavorare sul simbolismo del tre e del quattro. Sentiva che l'umanità stava evolvendosi dallo stadio della coscienza rappresentato dal tre a quello rappresentato dal quattro. Nel 1948 e 1949 guardò con soddisfazione al nuovo dogma della chiesa cattolica che univa la Vergine Maria alla Trinità (composta soltanto da figure maschili) in paradiso. Sentiva che questo completava una fase precedente, incompleta, dello sviluppo, che aveva portato tanta agitazione e conflitto nel mondo occidentale. Il simbolo precede di molti anni il fatto, il che significa che la possibilità oggi ci è aperta, ma il lavoro non è ancora stato compiuto. Jung sentiva che il lavoro di una persona veramente moderna consiste nell'effettuare l'espansione di coscienza rappresentata dall'evoluzione dal tre al quattro, dalla coscienza concentrata sul fare, sul lavorare, raggiungere, progredire, a quella caratterizzata dalla pace, dalla tranquillità, dall'essere esistenziale.

 Il nucleo della questione sta nel fatto che il quattro può contenere il tre mentre il tre non può contenere il quattro. Una persona che abbia raggiunto l'alta coscienza del quattro è in grado di svolgere tutti i compiti pratici, concreti che la vita richiede senza tuttavia esserne schiava. Una persona che appartiene al mondo del tre non è in grado di apprezzare gli elementi associati al numero quattro.

Sembra, quindi, che stiamo vivendo in un'epoca in cui la coscienza dell'uomo sta avanzando da una visione trinitaria a una visione quaternaria. Questo è un modo possibile e non superficiale per valutare l'estremo caos in cui si trova ora il nostro mondo.

Molte persone moderne, che nulla coscientemente conoscono del simbolismo dei numeri, sognano situazioni in cui il tre diventa quattro. Questo indica che ci troviamo in un momento di evoluzione della coscienza dal concetto ordinato, tutto maschile della realtà (la visione trinitaria di Dio), a un concetto quaternario, che include il femminile e altri elementi che sono difficili da includere se si rimane attaccati ai vecchi valori.

Sembra che l'attuale scopo evolutivo sia quello di sostituire a un'immagine di perfezione un concetto di completezza e totalità. La perfezione evoca un qualche cosa di totalmente puro, privo di imperfezioni, punti oscuri o zone di incertezza. La totalità comprende l'oscurità ma la combina con gli elementi di luce in un tutto che è più reale e intero di qualsiasi ideale. Si tratta di un compito che incute timore, e la domanda che ci si pone è se il genere umano sia capace di questo sforzo e di questa crescita. Che siamo pronti o no, siamo comunque dentro questo processo.

L'anno di Maria è venuto e se ne è andato; è stato per lo più dimenticato e sembra aver esercitato ben pochi effetti immediati sulle nostre vite. Ma se guardiamo a questo evento straordinario nel modo corretto, esso eserciterà un effetto profondo sulla teologia e sulla vita di tutti i giorni.

Quando al quarto elemento vengono concessi onore e dignità, esso cessa di essere l'avversario; è soltanto quando escludiamo una verità psicologica che essa diventa negativa o distruttiva. Un elemento che mostra il suo lato malvagio ha soltanto bisogno di coscienza per trovare uno spazio utile nella nostra struttura.

Il maschio ha spesso considerato femminile la parte oscura di sé e, nel tentativo di spingerla fuori da sé, l'ha trasformata in strega.

(ora cosa sta accadendo con Berlusconi se non questo?)

 Gran parte dell'elemento rifiutato nel Medio Evo era femminile; questo diede luogo alla caccia alle streghe. Non si trattò di pochi episodi isolati cui è stata data una pubblicità immeritata; si stima che più di quattro milioni di donne siano state bruciate in Europa nel momento centrale della controriforma.

E un compito formidabile quello di incorporare nella nostra personalità quegli elementi che, fino a non molto tempo fa, erano visti come tanto foschi; integrare un elemento così oscuro è un'operazione pericolosa.

Quando si ha avuto paura del lupo e lo si è cacciato fuori, è difficile che si apra improvvisamente la porta e gli si dica: «Entra, adesso».

Ebbene, ora siamo nel 4 e chi è rimasto nel 3 avrà a che fare con i roghi da lui stesso accesi...


Come madre so, per certo, di aver generato persone che sapranno riconoscere e cavalcare il loro 4 per tutta la vita..:-)





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