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venerdì 12 novembre 2010

mito di Parsifal - 2

Stadi Evolutivi

Secondo la tradizione, tre sono i potenziali stadi evolutivi dello sviluppo psicologico dell’uomo. (attenzione ora vale anche per le donne).
Il modello archetipico presuppone che si passi dalla perfezione inconscia dell’infanzia all’imperfezione inconscia della mezz’età alla perfezione coscia dell’età matura. (3 passaggi in cui Afrodite agisce in processi di Vita/morte/vita)
Si parte da una totalità innocente, nella quale il mondo interiore e quello esterno coincidono, per arrivare alla separazione e differenziazione dei mondi interno ed esterno, con l’acquisizione del senso di dualità della vita (comparsa della COLLISIONE Afrodite/Psiche), e quindi si giunge, finalmente, all’illuminazione, cioè alla riconciliazione cosciente dell’interno e del’esterno in una totalità armonica.
Siamo testimoni dello sviluppo del Re Pescatore dal primo al secondo stadio.
Non abbiamo diritto di parlare dell’ultimo stadio se non abbiamo a termine il secondo ma non abbiamo diritto di parlare dell’unitarietà dell’universo fino a quando non siamo coscienti della sua separazione e duplicità.
(avere o non avere DIRITTO, è importante approfondire la parola diritto, che con “necessità” e “permesso” sono le parole chiave dell’esistenza)
Possiamo ricorrere a tutta una serie di acrobazie mentali per poter parlare dell’unitarietà del mondo ma non abbiamo alcuna possibilità di funzionare veramente in modo unitario se prima non siamo riusciti a differenziare il mondo esterno dal mondo interno. Dobbiamo abbandonare il Giardino dell’Eden prima di poter cominciare il camino verso Gerusalemme Celeste. I due luoghi sono il medesimo e questo è ironico, ma non di meno il viaggio deve essere compiuto.(fate un parallelo: Afrodite ha una “corte”, il Re Pescatore va in “viaggio”)
Il primo passo che porta l’uomo fuori dal Giardino dell’Eden verso il mondo della duplicità è la ferita del Re Pescatore, cioè l’esperienza dell’alienazione e della sofferenza che gli spiana la via verso l’inizio della coscienza.
Il mito ci racconta che il Re Pescatore è ferito all’inguine. Forse ricorderete la storia biblica della lotta di Giacobbe con l’angelo: anch’egli fu ferito all’inguine. Il contatto con qualche cosa di traspersonale (un angelo o un Cristo sotto le spoglie di un pesce) produce la terribile ferita, che chiede incessantemente redenzione.
La ferita all’inguine significa che l’uomo è ferito nella sua capacità generativa, nella sua capacità di relazione.
(e’ il caso di fermarsi e vedere la relazione Afrodite/Re Pescatore. Compulsione per la fertilità/sterilità – e ancora: guardiamoci intorno in questo momento storico, che succede? In che direzione va la politica, e il privato? Tu, i tuoi famigliari, i tuoi amici, l’amante, i colleghi………ecc)
Una versione della storia narra che il Re Pescatore fu ferito da una freccia che gli trafisse entrambi i testicoli e che in essi rimase conficcata, senza possibilità di essere spinta fuori. Anche qui, il Re Pescatore viene descritto come un uomo troppo malato per vivere eppure incapace di morire.
L’alienazione dell’eroe, lo smarrimento è nell’uomo/donna moderni: la ferita del re Pescatore è il nostro marchio (zoom..e Afrodite dov’è?).
(Esiste qualcuno che non abbia dovuto assistere alla propria o altrui agonia della ferita del Re Pescatore?
Quante donne lo hanno visto, negli uomini che le circondavano, magari prima che essi stessi se ne rendessero conto?
Cos’è quel senso di offesa e incompletezza che poi ne consegue e che diventa una voragine che si cerca di colmare di continuo a mai si colma?
Quante donne si portano questa ferita senza rendersene conto? Quanti uomini riconoscono nelle donne che hanno accanto questa ferita che tanto bene conoscono? Chiediamocelo. ORA)
Questo tipo di sofferenza può indurre a fare cose idiote, nel vano tentativo di curare la ferita e porre sollievo alla disperazione che prova. Di solito cerca un’inconscia soluzione al di fuori di sé e si lamenta del lavoro, del matrimonio, della sua posizione sociale nel mondo.
Il Re Pescatore giace nel proprio letto di dolore, geme, piange, soffre. Non trova tregua, se non quando pesca.
Questo per dire che la ferita, che rappresenta la coscienza, è tollerabile soltanto quando il ferito compie il suo lavoro interore, portando avanti quel compito di coscienza che ha inavvertitamente avuto inizio con la ferita della sua giovinezza. Questa stretta associazione con l’attività del pescare assumerà presto un ruolo importante nella nostra storia.
(Ieri è successa una cosa buffa: Ruben che è stato sempre patito per la pesca e da un anno invece non s ne interessa più, rivolgendosi invece ad altre attività dove è lui protagonista in prima persona e dove si mette in gioco al 100%, ha visto un ragazzino con le canne da pesca in bici e ha detto “ io non pesco più, sono cresciuto”……strana coincidenza con questo discorso che stiamo facendo, non credete?)
Il Re Pescatore presiede la sua corte nel castello del Graal, dove viene conservato il Sacro Graal, il calice dell’ultima Cena.
La mitologia c’insegna che il re che regna sulla nostra corte più profonda determina il tono ed il carattere della corte stessa e quindi di tutta la nostra vita.
Se il re sta bene, noi stiamo bene, se le cose vanno bene all’interno, vanno bene anche all’esterno. (vi consiglio di guardare questo “Siamo mutevoli” che rende l’idea)
Poiché la corte interiore dell’uomo occidentale di oggi è presieduta da un re Pescatore ferito, possiamo aspettarci che all’esterno vi siano molta sofferenza e alienazione.
E in effetti così è: il regno non prospera, i raccolti sono modesti, le fanciulle appassite e sterili, i figli resi orfani. (zoom sulle separazioni, please)
Questo linguaggio eloquente mostra come le fondamenta archetipe ferite si manifestino nei problemi dela nostra vita esterna.





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